“Diario dalla guerra di Libia”: il primo libro dello storico Luca Filosi fa luce sulle vicende coloniali di Tullio Marchetti

Il libro “Diario dalla guerra di Libia” di Luca Filosi “non è un saggio”, è il racconto – dalla prospettiva di Tullio Marchetti stesso – di uno dei personaggi più particolari, tra il suo essere stato un agente segreto e l’aver firmato l’armistizio per conto del Regno d’Italia con gli austroungarici, che il Trentino sia mai riuscito a “partorire”, perché, per quanto romano di nascita, Tullio si è sempre sentito profondamente trentino, provincia di cui era originaria la sua famiglia.

Quello che non era stato ancora trattato era il periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale: Filosi presenterà la sera di venerdì 2 dicembre, alle 20.30 presso la Sala del direttivo Associazione Nazionale Alpini di Trento, il suo nuovo libro, dando nuova luce ad un periodo definito da lui stesso come “a volte dimenticato”.

Da dove nasce l’esigenza di raccontare, tramite gli occhi di Tullio, un periodo storico ritenuto così controverso?

Questo personaggio – per chi si occupa di storia – è ricordato perché la sua famiglia era profondamente irredentista, suo zio Prospero era stato tra i fondatori della SAT (Società Alpinistica Tridentina) per esempio. È ricordato anche perché fu tra i firmatari, per parte italiana, dell’armistizio tra austroungarici e italiani, ma nessuno, o quasi, era mai andato ad indagare cosa c’era stato prima. La mia scoperta è nata per caso, mentre ero ancora all’università: queste carte sono rimaste dimenticate per decenni, come capita spesso con gli archivi privati, ma erano arrivate da poco al Museo della Guerra di Rovereto. Quando ho sentito parlare di colonie mi si è aperto un mondo perché è una cosa molto rara poter trattare di colonie legate al Trentino: i trentini sono andati molti anni dopo quando si parla già di fascismo, dell’Etiopia. Inoltre, c’era l’occasione di raccontare una figura del ‘900 completandone la vita: di lui sappiamo, della Prima Guerra Mondiale, che era tra gli ideatori della propaganda italiana nella Grande Guerra, ma non ci ha mai raccontato del suo “battesimo di fuoco”. Addentrandoci nei suoi scritti si realizza come questa missione coloniale sia però fuori dal tempo: è un ultimo tentativo del Regno d’Italia per conquistare delle terre quando ormai i principali stati europei avevano smesso. Si parla di un mondo, a cavallo tra ‘800 e ‘900, in cui il colonialismo sta arrivando alla sua ultima fase, ma si cerca ancora uno sbocco sul Mediterraneo, risultato che non si era riuscito ad ottenere in precedenza.

Quali sono i tratti, che potremmo definire sorprendenti, emersi da questo tuo lavoro? Sono pur sempre pagine inedite.

Quello che più mi ha colpito è stata la nuova prospettiva dell’alpino che – cresciuto tra Roma e le Valli Giudicarie – si trova catapultato dall’altro lato del Mediterraneo e cerca, tra i limiti da scrittore neofita e una leggera boria borghese, di raccontare la sua nuova realtà. Inizia a disegnare le rovine archeologiche, racconta la storia e le leggende delle popolazioni locali: cerca una giustificazione storica a quello che l’esercito italiano sta facendo. Conosciamo l’alpino glorioso, che molto ha lavorato per conquistare la terra a cui è legato per i suoi affetti, ma è comunque un uomo impegnato al fronte per la prima volta: emerge un lato umano, i diari non erano pensati per essere pubblicati. Racconta della malattia, dei problemi, di situazioni come l’esecuzione a morte di prigionieri arabi; aspetti che non emergono leggendo i suoi libri: è possibile fare un’analisi diversa, lui legge la realtà che ha di fronte con l’ottica dell’europeo che va a conquistare popolazioni ritenute, tutto sommato, inferiori.

C’è un forte legame con il Trentino, come è riuscito a portare con sé, in Africa, la “sua terra”?

Lo porta con sé ricollegando momenti “classici”, per noi riferimenti canonici, a quello che faceva in Trentino quando tornava in vacanza, come a Natale, quando ricorda della neve di Madonna di Campiglio e di come sarebbe stato a mangiare la polenta con i suoi parenti. Tornano spesso citate Trento e Bolbeno, c’è un filo rosso a migliaia di chilometri di distanza che lo tiene agganciato a quella che considera casa, specie nei momenti difficili. È un classico aggancio dei soldati al fronte, il Trentino è il “nido sicuro” in cui avrebbe fatto ritorno.

Qual è il peso, da un punto di vista storico, di un libro di questa caratura?

Da un punto di vista storico, secondo me, in Trentino si è scritto poco della guerra italo-turca del 1911-1912, perché non ha coinvolto direttamente la nostra provincia. Si è studiato, comprensibilmente, molto di più il periodo coloniale fascista degli anni ’30 durante il quale numerosi trentini furono inviati in colonia. Anche l’analisi di scritti e diari del periodo è rimasta limitata, nonostante si parli della prima leva di massa italiana, con decine di migliaia di soldati mobilitati. Utilizzare una vicenda umana permette di tenere sullo sfondo una pagina di storia italiana così difficoltosa, è la prima gestione italiana di un contingente militare enorme, all’alba della Prima Guerra Mondiale. Dà nuova luce ad un periodo storico troppo spesso dimenticato dal nostro Paese. Non è un saggio storico, è più un racconto di un lungo viaggio in una terra lontana e per chi si avvicina a scoprire cosa sono state le colonie, leggerlo con gli occhi di chi ha combattuto in prima linea può essere interessante.

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mercoledì 19 Marzo 2025