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Diario di un concerto perfetto

14 Luglio 2018. Roma, Circo Massimo.

Fa caldo, ma per Roger Waters si affrontano anche quaranta giorni nel deserto. Qualcuno è tranquillo, qualcuno fuma sostanze di dubbia provenienza, qualcun altro è già ubriaco e straparla. Però tutti si uniscono in un unico grande boato, non appena Waters e i suoi riempiono il palco.

Seguono alcune considerazioni sparse, tratte dal diario emotivo di una serata incredibile.

Speak to me/Breathe. Si inizia alla grande. L’emozione è tanta, nel pubblico. Siamo davvero lì, ad ascoltare l’Arte dei Pink Floyd? Siamo felici come se fossimo gli eletti autorizzati a tornare nell’Eden. E per qualche ora ci siamo tornati davvero.

Time. Scoccano i rintocchi dell’orologio. Roger ci sta dicendo che non dobbiamo perdere “lo sparo della partenza”. Quindi torniamo in noi. O almeno, io torno in me. Quelli dietro, a giudicare dall’odore sospetto che mi aleggia attorno, forse no.

Wish You Were Here. Per chi come me è cresciuto ascoltando e amando i Pink Floyd, le prime note di questo brano sono un colpo al cuore. Viene sempre in mente un istante preciso della vita in cui questo capolavoro ha fatto da dolce sottofondo. Ed ecco perché ci sgoliamo, ciondolando da un lato all’altro, malinconici. Che meraviglia, la Musica.

Dogs. La seconda parte del concerto è senza dubbio più spettacolare (in quanto a effetti speciali) rispetto alla prima. Si attiva la fabbrica protagonista della copertina di “Animals” con le colonne fumanti che spuntano dal palco, e da questo momento Waters non ha più pietà, soprattutto per i politici. Ecco perché si gode il doppio.

Pigs (Three Different Ones). Per me uno dei due apici dello spettacolo. Qui si sente tutto il disgusto che Waters prova nei confronti di chi governa il mondo. Ci conquista definitivamente quando “libera” il maiale aerostatico, che volteggia sopra di noi mostrando con fierezza la scritta “RESTIAMO UMANI”.

Dopo una straordinaria Eclipse, Waters racconta: «Una volta ho caricato una foto su un social, per annunciare un concerto. Il primo commento che arrivò fu: “Ci sarò questa sera, ma spero che suonerai e basta e che non parlerai di politica”. Be’, chiunque tu sia: fottiti!» Viva Roger e la sua elegante intransigenza. «Io non posso evitare di parlare di politica. E non dovete evitarlo neanche voi. Dobbiamo essere politicamente attivi se vogliamo che anche i nostri figli, nipoti e pronipoti possano esserlo e possano avere il diritto di parlare». Amen.

Comfortably Numb. Eccolo qui, il mio secondo apice. Incredibile come il pezzo riesca a toccare le corde giuste e a scombussolarmi l’anima. Mentre canto, mi viene in mente che questa canzone è stata una delle prime che ho suonato in pubblico, alle medie. Quindi ripenso a quella ragazzina insicura, a tratti triste e a tratti solo spaesata, in cerca di ideali e di identità, che non si fidava di nessuno se non della musica. Non reggo più e piango, come non faccio da un bel po’, a un concerto.

La canzone finisce, si solleva un grande applauso nel cielo e partono anche i fuochi d’artificio.

Grazie, Roger Waters.

Indimenticabile.

Cultura
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