Come costruire le Città Invisibili
“Le città invisibili sono un sogno che nasce dalle città invivibili”, così lo stesso Calvino dichiara il confine tra realtà e fantasia, di cui è l’assoluto cantore.
La prima edizione del libro fu pubblicata nel 1972 da Einaudi, ma si dovrà aspettare fino al 1983 perché sia l’autore stesso a presentarcelo, in un discorso tenuto alla Columbia University di New York. Racconta di lavorare in serie, archiviando brani in cartelle a tema e che solo quando una di queste si riempie, inizia a rivederne e limarne il contenuto per organizzarlo in un libro che abbia un inizio e una fine. “Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici”.
Il tomo inizia così a suddividersi in brevi capitoli ognuno inerente ad una città immaginaria. A Calvino si presentano quindi due criticità: come organizzare i capitoli e soprattutto quale debba essere il filo rosso dell’intera raccolta. Ispirandosi alla struttura compositiva de Le mille e una notte, crea il suo “continente immaginario in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio; continente dell’altrove, oggi che l’altrove si può dire che non esista più, e tutto il mondo tende a uniformarsi”.
Il compito di contenitore di storie viene così assegnato a Marco Polo, che, sotto forma di resoconto dei propri viaggi, descrive all’Imperatore dei Tartari, Kublai Kan, le città che si trovano sotto il suo immenso dominio. Tali parti di raccordo vengono poste in apertura e chiusura di ognuna delle nove sezioni in cui è suddiviso il testo ed evidenziate graficamente attraverso l’utilizzo del corsivo. Viene sottolineata spesso la difficoltà di comunicazione tra i due – che si esprimono in lingue differenti – e ne nasce una lunga partita a scacchi utilizzati come pezzi di un puzzle che, incastrati opportunamente dalle sapienti mani di Polo, si trasformano di volta in volta in mirabolanti metropoli, in minuscoli nuclei abitativi o in sottilissimi complessi urbani.
Il passo successivo per dare un ordine logico a tutto questo materiale fu suddividerlo in undici serie – Le città e la memoria; Le città e il desiderio; Le città e i segni; Le città sottili; Le città e gli scambi; Le città e gli occhi; Le città e il nome; Le città e i morti; Le città e il cielo; Le città continue; Le città nascoste – di cinque pezzi ciascuna, a loro volta raggruppati nelle nove sezioni in base ad un’atmosfera comune. Si alternano così città felici e infelici, tutte accomunate dal possedere un nome femminile, dall’essere strettamente collegate alla realtà urbanistica di quegli anni e dalla straordinaria penna di Calvino.
Lo stesso autore ammette poi che il testo non ha un’unica morale, bensì più d’una conclusione. C’è chi può trovarla alla fine e chi nel mezzo: il libro è infatti “uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori”. Esattamente come in città.
Cultura
Twitter:
domenica 8 Dicembre 2024