“Beetlejuice Beetlejuice”: un classico in chiave 2024
Il secondo capitolo della saga dedicata allo spiritello porcello di Tim Burton è finalmente in sala e ritrova molte collaborazioni storiche del regista, chi più chi meno. A partire da Michael Keaton, iconico nel ruolo di Batman nella trilogia di Burton, Winona Ryder e Caterine O’hara, che riprendono il ruolo del precedente film, per poi passare a Monica Bellucci, moglie del regista, e Jenna Ortega, Willem DaFoe e Justin Theroux. Le vicende sono incentrate sulle tre donne della famiglia Deetz, la matrigna Delia, Lydia e la figlia Astrid, che a partire dalla morte di Charles, marito di Delia, saranno nuovamente coinvolte negli eventi dell’Aldilà.
Ognuna delle tre donne vivrà una sottotrama individuale che si ricollegherà poi al filone principale: a partire dal ritorno nella casa di Winter River, infatti, Delia cercherà di processare il lutto attraverso diverse manifestazioni artistiche; Lydia si preoccuperà per il ritorno delle visioni su Beetlejuice e dovrà confrontarsi con il compagno Rory, mentre Astrid troverà l’amore in Jeremy, giovane abitante del paese rivelatosi essere un assassino morto più di vent’anni fa. I personaggi sono caratteristici e ben rappresentati, venendo facilmente identificati nei loro rispettivi archetipi narrativi.
Lydia viene presentata come una madre di successo che si dedica alla carriera prima che alla figlia, probabilmente a causa dell’assenza del marito e dell’influenza di Rory. Lei ed il compagno, primi in ordine di comparsa, sono strettamente collegati per lo sviluppo dei loro personaggi e vivono una sorta di rapporto simbiotico. Lo sfruttamento da parte di quest’ultimo verso le capacità sovrannaturali della donna viene palesato sin dalle prime scene, lasciando sempre intendere che dietro la maschera del patrigno amorevole e disponibile si nasconda un fine di lucro.
D’altra parte, Lydia sembra ricercare un sostegno emotivo che l’uomo concede, seppur sempre nell’ordine dei suoi interessi. Il matrimonio organizzato da Rory, infatti, ha anche lo scopo di raƯorzare il legame della coppia in un’ottica lavorativa, che Lydia, divisa fra il rapporto altalenante con la matrigna e la figlia, non è capace di cogliere. Delia sembra invece incarnare il profilo analogo a quello di Marina Abramovich, artista icona della performative art, ricorrendo quindi ad espressioni artistiche provocatorie e anomale per esprimere sé stessa. Sin dalla sua prima apparizione comprendiamo che, come modello materno, non deve aver avuto grande valore per Lydia, dedicandosi allo stesso modo prima alle sue opere che non alla figliastra.
La morte della donna, con un forte richiamo al personaggio di Cleopatra, celebra la sua figura artistica e determina inequivocabilmente il suo spirito irrazionale. Astrid, irrequieta e testarda, rinnega la fama della madre per i pregiudizi che riceve da parte degli altri, desiderando costantemente di poter conoscere il padre. Solo la situazione di pericolo vissuta nell’Aldilà la renderà consapevole dell’amore provato dalla madre e la possibilità di incontrare il padre riaƯermerà il legame familiare che univa i due personaggi. Beetlejuice, manifesto della follia e del vizio, emerge concretamente solo verso il termine del film, rimanendo principalmente di contorno per il resto della storia.
Il suo desiderio verso Lydia diventerà strumento di ricatto verso la donna, permettendogli di sfuggire alle grinfie della ex moglie Delores e aiutare le protagoniste assicurandosi un ritorno. La scena del matrimonio diventa perciò un’esplosione di magia, confusione ed esagerazione che riconferma il grande carisma ed ego del personaggio, volto quasi più alla propria autocelebrazione che all’interesse verso Lydia. Una nota di merito va anche riconosciuta agli altri due comprimari della storia, Delores ed il detective Wolf Jackson. Lo zombie di Monica Bellucci attira immediatamente l’attenzione e pare rappresentare una seria minaccia per Beetlejuice, venendo però poi sbrigativamente liquidata verso il finale delle vicende. Wolf invece guadagna il suo valore una scena dopo l’altra, rimarcando ancora una volta il talento di Willem DaFoe.
L’intreccio delle sottotrame, per quanto ben costruito, risulta un po’ spiazzante per lo spettatore: numerosi personaggi che spezzano continuamente il ritmo della narrazione fanno perdere di vista il fulcro centrale della trama, che inizialmente sembrava essere la vendetta di Delores per poi diventare il salvataggio di Astrid e il matrimonio con Beetlejuice. Oltre alle tre donne protagoniste, infatti, sia Delores che Wolf Jackson ritagliano parti del racconto per la contestualizzazione dei loro personaggi, in maniera legittima ma leggermente inconsistente.
Complessivamente, il film intrattiene facilmente anche se stenta a partire per la prima parte di storia, prendendo poi la tangente con una marea di eventi che si susseguono uno dopo l’altro. Il tocco artistico di Tim Burton nella composizione degli eƯetti speciali è ben riconoscibile, contrapponendo sapientemente le atmosfere calde del mondo dei vivi con quelle fredde e alienanti dell’Aldilà. “Beetlejuice: spiritello porcello” ha trovato nel sequel un degno erede dell’antica magia
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martedì 21 Gennaio 2025