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Non ci resta che fuggire in Egitto

Non ci resta che fuggire in Egitto

Niente processo di stabilizzazione politica nel nord Africa, né tantomeno fughe di cervelli sulle coste del Mediterraneo. Al contrario di oggi, Duemila anni fa dall’Egitto non si emigrava, ci si rifugiava. Questo è quello che ci racconta l’evangelista Matteo nel suo di Vangelo.

La storia è arcinota: un bel giorno i Magi, affascinanti e pettegoli sapienti, si presentano alla porta di Erode e, tra una chiacchiera e l’altra, si fanno sfuggire che in giro c’è un bambino che prima o poi gli soffierà il titolo di re. La cosa lo indispettisce e il sovrano si vede costretto ad inviare un drappello di soldati per uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni (probabilmente i giovani di allora facevano più paura ai politici del tempo). Vista la brutta piega presa a Betlemme, un angelo si precipita da Giuseppe, l’anziano padre di Gesù, e lo incoraggia ad andarsene. La Sacra Famiglia parte così alla volta dell’Egitto vagando per paesaggi desolati, abitati da bestie feroci e trovando qualche momento di ristoro nelle rare verdeggianti oasi desertiche.

La mia visione delle oasi è particolarmente distorta da anni e anni di abbonamenti al National Geographic, ma forse la mia idea cozza ancor di più se messa a confronto con quella meravigliosamente narrata dal fiammingo Rembrandt in un suo singolare lavoro datato 1647: Il riposo dalla fuga in Egitto. L’olio è, a dispetto delle classiche trattazioni del tema religioso, un’intima visone di un paesaggio notturno, giocato per la gran parte sui toni cupi dei bruni rischiarati dall’argenteo riflesso della luna e dalla luce calda di un falò. L’oasi, una tenebrosa foresta di faggi e cespugli, è il contenitore della scena evangelica relegata a un minuscolo angolo del dipinto. Lì, la Sacra Famiglia, accampata vicino ad una pozza d’acqua al riparo di un antro, si scalda alla luce di un fuocherello acceso alla bene meglio. Il gioco delle luci accompagna lo sguardo, le fiammelle danzano sull’acqua, illuminano i volti stanchi e avvolgono con il loro bagliore dorato i dimessi abiti, mentre il freddo riflesso della luna vacilla negli occhi ferini nascosti tra i cespugli. Tutto il resto è oscurità, silenzio.

Del dipinto si sa poco. Addirittura, fino a poco tempo fa, il soggetto indicato nel catalogo dell’artista era I gitani, perché uno strato di vernice ingiallita ricopriva quasi totalmente la superficie del quadro rendendo pressoché illeggibile gran parte della scena. Ma, forse, questo duplice registro non è affatto accidentale; in un mercato come quello olandese, fatto di protestanti e cattolici la libera interpretazione, sicuramente lasciava spazio a un margine maggiore di vendita. Così chi desiderava un paesaggio notturno era servito, allo stesso modo chi desiderava riflettere nel calore della propria casa sul tema religioso. Chiunque incappi in questo dipinto può darne la sua interpretazione. Una cosa non cambia: il parere di stare di fronte a una piccola meraviglia. Sia che lo si giudichi dal punto di vista della tecnica, nella resa dei chiaroscuri e nelle ombre, sia nella trattazione eccentrica del tema, qualunque esso sia.

Alla National Gallery of Ireland a Dublino, il capolavoro è visibile fino al 20 Gennaio 2013 all’interno di un’esposizione temporanea intitolata –non a caso- Art Surpassing Nature: Dutch Landscapes in the Age of Rembrandt and Ruisdael.

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martedì 23 Aprile 2024