La privacy, o se vogliamo dirla “all’italiana” la riservatezza o privatezza, è quel diritto che tutti noi abbiamo e che si riferisce alla sfera della vita privata, è cioè il diritto della persona a tenere riservate le informazioni che la riguardano. Questo diritto, va sottolineato, fa parte di quei diritti inviolabili dell’uomo affermati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e ricavabile anche dalla Costituzione italiana.
Spesso siamo abituati a sottoscrivere il consenso al trattamento dei dati personali con leggerezza: sono informative scritte in caratteri microscopici e la loro lettura richiede tempo. Concediamo pertanto il nostro consenso senza pensarci e permettiamo a centinaia di applicazioni l’accesso alle nostre informazioni e a quelle dei nostri amici sui social network.
Quando balza agli onori della cronaca qualche notizia di fuga o furto di dati personali temiamo che qualche misterioso estraneo si sia intrufolato nella nostra vita, frugando tra le nostre cose più intime. È quanto accaduto qualche mese fa quando è esploso lo scandalo di Cambridge Analytica, la società che avrebbe raccolto illegalmente da Facebook i dati di 50 milioni di persone per scopi elettorali negli Usa e in Inghilterra. Tali dati sarebbero poi serviti per influenzare il voto dei cittadini in merito alle elezioni di Trump e al referendum inglese sulla Brexit. Se fosse così si tratterebbe di uno dei più grandi furti della storia, una sorta di film di 007.
Ma cos’è successo realmente? Sembra che lo sviluppatore Kogan abbia creato un’applicazione simile ad un test di personalità che ogni iscritto poteva scaricare gratuitamente. In questo modo ha potuto raccogliere i dati di migliaia di profili, il cui numero è andato ad ingigantirsi in modo esponenziale coinvolgendo anche i profili di altri utenti e allargandosi quindi a macchia d’olio. Kogan era l’unica persona che poteva accedere a tali dati e li ha venduti sottobanco a Cambridge Analytica, commettendo quindi una grave violazione della privacy.
Oltre all’aspetto giuridico della vicenda, ha fatto scalpore anche quello politico. Facebook fa comparire infatti sulla nostra bacheca solo quello che ci può interessare perché l’algoritmo ci conosce benissimo: conosce i nostri dati personali e i nostri gusti, e quindi va a botta sicura. L’ex direttore della ricerca di Cambridge Analytica ha dichiarato: «La società per cui lavoravo è una macchina che fornisce servizi di propaganda, quando si è in grado di controllare il flusso di informazioni si è in grado di cambiare la percezione delle cose e in questo modo si può influenzare il comportamento e le reazioni della gente».
Dopo l’apertura di questo vaso di Pandora, se c’è una cosa di cui possiamo essere certi è che i nostri dati non sono più solo nostri, ma delle piattaforme che usiamo per navigare su internet. Il 25 maggio 2018 un nuovo Regolamento ha sostituito la precedente direttiva UE sulla protezione di detti dati. Chissà se cambierà qualcosa.
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sabato 21 Settembre 2024