Tutti belli, tutti uguali: l’inganno dell’iPhone Face
C’è stato un tempo in cui volevamo distinguerci. Ora, invece, non facciamo altro che replicarci. Nasi all’insù, labbra gonfie, zigomi scolpiti, pelle levigata e sguardo da cerbiatto: l’“iPhone face” è il volto standardizzato che dilaga senza limiti sui social. Un’estetica globale, algoritmica, che cancella le imperfezioni, le irregolarità e, con loro, anche l’identità. Ma da dove nasce davvero questo concetto? Il termine “iPhone face” è stato inizialmente usato in ambito cinematografico per descrivere gli attori il cui aspetto rispecchia in pieno gli attuali canoni estetici: visi simmetrici, scolpiti, levigati, quasi “lucidi” come gli iPhone di ultima generazione.
Un look perfetto, ma che risulta decisamente poco credibile nei film storici dove i volti raccontavano vite vissute e geni tramandati. In realtà, però, questo fenomeno si inserisce in un quadro molto più ampio, quello di una società che oggi tende a standardizzare una bellezza attraverso filtri e i bisturi. Sui social, infatti, dilagano selfie e video ritoccati con filtri che uniformano i tratti e addolciscono le espressioni – almeno fino al 14 gennaio 2025, quando Meta ne ha vietato l’uso. Ma quando i filtri non bastano, ci pensa la chirurgia, sempre più allineata al gusto digitale delle influencer “editate”. Già nel 2017, la American Academy of Facial Plastic Surgery[1] segnalava un aumento annuale (dal 56% al 72%) delle richieste di procedure estetiche tra i pazienti under 30, spesso motivate dal voler apparire meglio dei selfie. In Italia, anche l’uso del botox e dei filler tra i 18 e i 30 anni è in costante crescita alimentando un vero e proprio mercato dal valore di miliardi di euro.
Ma cosa si nasconde dietro la “Snapchat dysmorphia”? La risposta non è solo vanità. Questa ossessione nasconde un profondo disagio psicologico che racchiude un desiderio di controllo, di approvazione e di appartenenza. I social premiano i volti perfetti: più like, più attenzione e più validazione. E così, inconsapevolmente, ci adattiamo a un linguaggio estetico artificiale perdendo ogni nostro elemento distintivo in una sorta di global beauty senza tempo né cultura. Un volto che va bene ovunque, ma che non dice niente di noi.
Le “iPhone face” non invecchiano, non si arrabbiano, non mostrano dolore: sono espressioni congelate nel tempo digitale. Eppure, qualcosa si muove. Su TikTok, la “filter fatigue” è diventata virale: video che mostrano il confronto tra il volto reale e quello filtrato, spesso accompagnati da riflessioni sulla pressione estetica. Anche celebrità e creator iniziano a rivendicare la bellezza dietro le imperfezioni: è il caso di Pamela Anderson che dopo anni di make-up e chirurgia ha scelto di mostrarsi al naturale, restituendo al volto il suo tempo e la sua storia. Perché forse, alla fine, la vera rivoluzione è avere il coraggio di somigliare solo a sé stessi.
[1] Fonte consultabile al link: https://aestheticmed.co.uk/selfies-and-their-impact-on-aesthetics-are-here-to-stay%2c-says-aafprs?utm_source=chatgpt.com
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venerdì 11 Luglio 2025