TFF2025: Mauro Corona: la mia vita finché capita

“Conoscevo Mauro Corona il personaggio televisivo e non pensavo ci fosse nulla da raccontare su di lui, finché non ci ho pranzato insieme in occasione di Milano Book City. In soli dieci minuti mi parlò di vita, morte, amore e vino e mi sono reso conto che dietro il personaggio interpretato c’era un universo, una persona con così tanto da dire che era un peccato non fosse ancora stata ascoltata”, il regista Niccolò Maria Pagani ricorda così la genesi del film Mauro Corona: la mia vita finché capita, presentato in anteprima assoluta al Trento Film Festival.

Il documentario segue per sei mesi lo scrittore, scultore e alpinista friulano nei luoghi a lui cari e di vitale importanza per la sua formazione e la sua identità: la sua “tana” a Erto, la casa dove nacque, il paese fantasma di Casso, la diga del Vajont, la sua casera preferita, le pareti e le cascate ghiacciate sulle quali arrampica tuttora. Ad accompagnarlo in questo viaggio esplorativo della propria interiorità il confronto con gli amici Piero Pelù, Davide Van De Sfroos (presente all’Auditorium), Erri De Luca e alcuni estratti dal suo libro Le altalene, letti e recitati dalla voce fuori campo di Giancarlo Giannini. “Abbiamo chiuso il film con il brano Sole spento di Omar Pedrini che parla di un carcerato: ci è sembrata un’ottima analogia con Mauro, che parla di una sindrome di Stoccolma che gli impedisce di andarsene da un luogo da cui vorrebbe scappare”, prosegue il regista.

Il ritratto che se ne ricava, complice l’assoluta onestà e generosità nel mostrarsi di fronte alla macchina da presa – “Corona interpreta se stesso, non un personaggio”, introduce alla visione del film il presidente del Festival Mauro Leveghi – è quella di un uomo che, dopo l’ennesima svolta nel sentiero, inizia a intravederne la fine e decide di lasciare al mondo, non tanto un ricordo venato di autocompiacimento e vanità, quanto una memoria, a tratti dolce a tratti malinconica, di un’esistenza segnata di difficoltà, vizi, tragedie, gioie, successi e legami profondi con il territorio, ciò che rappresenta, chi se ne è andato e chi ancora rimane. Van De Sfroos evidenzia come “in questo documentario non ci siano particolari finzioni, bensì un coraggio, una sincerità e un’onestà in questa vita che si mette in luce e in ombra che ci deve far riflettere e far sentire grati di essere contemporanei di Mauro. Lui è un tramite, anche scomodo, che ti mette di fronte alla frattura nel muro e ti permette di guardare il precipizio che crea la vertigine dentro di te, e lui di horror vacui se ne intende”.

Coadiuvato da una serie di citazioni mandate a memoria, il protagonista chiosa: “Recentemente ho rivisto L’uomo di legno del 1995 e non mi sono piaciuto: fornivo la solita immagine di me, arrogante, provocatrice, acuminata, una recita di me stesso che ho praticato fino a qualche anno fa. Questa testimonianza mi ha permesso di mostrare ciò che sono veramente. Morire frainteso, equivocato mi spaventava. Avevo già anticipato questa circostanza con Le altalene, a cui sono particolarmente affezionato, e ora mi sono affidato a questo regista e, nonostante io continui a non piacermi sullo schermo, sono soddisfatto del risultato: ho riconosciuto il mio mondo e il me stesso che volevo dichiarare. Non lo spaccone che in realtà non mi appartiene ma l’uomo che ha iniziato a scalare per vincere la vertigine finché del vuoto ha fatto un punto d’appoggio, come mi disse una volta Manolo”.

 

Attualità
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

martedì 24 Giugno 2025