TFF2025: I nuovi frequentatori della montagna

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“La montagna è di tutti ma non per tutti: alla fine di ogni stagione invernale siamo contenti del segno più, ma quando avremo il coraggio di porre un limite?”, con questa domanda Mauro Leveghi, presidente del Trento Film Festival, dà il via all’evento promosso da TSM-ADM Accademia della Montagna, che presenta i risultati di due cicli di seminari che hanno impegnato associazioni e operatori di sistema in un’analisi sul nuovo turismo montano, le cause e gli effetti, e le possibili soluzioni alle nuove questioni che esso solleva. Dopo sei tavoli di lavoro mediati dai giornalisti Luca Calzolari e Roberto Mantovani, ecco ciò che ne è emerso.

Punto 1. L’antropologo Annibale Salsa pone una “domanda sull’altrove: le persone non sanno bene cosa sia la montagna. Essa presenta infatti due aspetti, uno selvaggio e l’altro ludico. I frequentatori attuali non sono né turisti né viaggiatori, bensì dei passeggeri”. La risposta a questo quesito implicito non può che essere parziale: il turismo è fondamentale per la montagna tanto quanto essa lo è per chi abita in città e metropoli, soprattutto dopo l’emergenza pandemica. Allo stesso tempo gli addetti ai lavori hanno notato un cambiamento sostanziale nel modo in cui le persone fruiscono di questo territorio. “Mancano di autocritica e di autovalutazione delle proprie capacità, tanto che demandano a noi gestori la responsabilità di farli proseguire o meno verso punti più alti”, spiega la rifugista Roberta Silva.

Punto 2. Il marketing ha cavalcato l’immagine di montagna come luogo di libertà e questo ha attirato non solo escursionisti e scalatori ma anche sportivi di attività estreme e persone spesso non attrezzate e preparate alle difficoltà delle terre alte. Questo fenomeno è stato poi accentuato da un uso sbagliato dei social media, che ha trasformato la montagna in mero palcoscenico per pratiche pericolose e superamento di limiti, con conseguente esposizione a rischi ed infortuni. Gli interventi del soccorso alpino sono aumentati esponenzialmente e spesso a causa dell’impreparazione degli utenti. “Sono cresciuto alla scuola di Bruno Detassis, che aveva due regole fondamentali: prima di partire devi sapere come scendere e correre non è arrampicare, si deve andare piano. Il nuovo fruitore va educato attraverso media potenti che facciano prevenzione in modo interessante e attrattivo”, commenta l’istruttore di guide e soccorritore alpino Piergiorgio Vidi.

Punto 3. Il nuovo frequentatore non si fa carico delle proprie responsabilità, per cui la colpa ricade sulla montagna assassina. Che si tratti di sciare o di andare in mountain bike, si punta all’ottenimento di risultati immediati con un eccesso di fiducia nella propria prestanza fisica anziché curare la preparazione tecnica, l’agire in sicurezza e la percezione del rischio. “Un concetto fondamentale per la montagna è venuto a mancare: l’autoassunzione del rischio. Questo denota una carenza di cultura montana, della quale siamo in parte causa anche noi professionisti. Dobbiamo educare il fruitore alle emozioni sane che permettono di approcciare la montagna al giusto ritmo”, analizza il maestro di sci alpino Andrea Sini.

Punto 4. Vi è un costante aumento di richieste di esperienze particolari e di visite a luoghi iconici, che portano a vedere i rischi come secondari rispetto al raggiungimento del successo. “Spesso le aspettative nei confronti della meta fanno sì che il posto vinca sul percorso e sulle emozioni vissute per giungervi. Che valore diamo alla nostra fatica? Come professionisti ma soprattutto come abitanti dovremmo propagandare di più tutte le molteplici sfaccettature del paesaggio montano”, propone l’accompagnatore di media montagna Alessandro Obrelli.

Punto 5. Serve un bilanciamento tra benefici economici, sostenibilità ambientale e cultura della convivenza, per evitare che la montagna si trasformi in luna park. Per questo è stato individuato il concetto di Soft outdoor: una promozione della cultura del rispetto e della responsabilità attuata attraverso buone pratiche che portino il turista a vivere le terre alte in modo più lento, preparato, consapevole e sicuro. “La montagna è un’insegnante silenziosa: non usa parole ma esperienze, prima sottopone all’esame e poi insegna. Per poter imparare è fondamentale rallentare, in un processo in controtendenza rispetto alla vita frenetica e al turismo veloce. Quando si cade, si deve prima capire perché è successo e solo poi rialzarsi. Ci vogliono lentezza e precisione”, chiosa la guida alpina Simone Banal.

Ognuno individua poi una parola chiave per descrivere il nuovo frequentatore della montagna, dipingendone così l’identikit: una persona inconsapevolmente disorientata per la mancanza di un’identità che lo spinge all’esigenza di mostrarsi costantemente al mondo, in una iperconnessione che lo rende bulimico nella ricerca di qualcosa che nemmeno conosce e impaziente nella sua perenne richiesta di “quanto manca?”.

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giovedì 15 Maggio 2025