TFF2025: Beyond – l’esplorazione e i suoi limiti secondo Alex Bellini

“Un concorso mai come quest’anno vario, non classificabile, non riducibile a un’unica formula, capace con i suoi film di interrogarci su quel senso di limite che la montagna, inevitabilmente, esige, e con il quale invita continuamente a misurarci”, così Mauro Gervasini, responsabile del programma cinematografico, presenta la 73esima edizione del Trento Film Festival che dal 25 aprile al 4 maggio porta nelle sale trentine 126 film, di cui 22 in concorso e gli altri suddivisi nelle ormai note categorie Anteprime, Terre Alte, Orizzonti Vicini, Alp&Ism, Proiezioni Speciali, T4Future e Destinazione… (quest’anno Argentina), mentre la novità è rappresentata dalla sezione Western di Montagna, dove sei titoli di grandi maestri come Altman e Peckinpah ci riportano tra neve, passi e catene montuose di Canada e USA.

Nell’anno internazionale per la conservazione dei ghiacciai, la sezione Alp&Ism (27 titoli) “testimonia il desiderio inesauribile di chi approccia la montagna con consolidato bagaglio tecnico e culturale, che significa consapevolezza dei propri limiti ma anche spinta a superarli”, prosegue Gervasini. Si inserisce perfettamente in questa categoria Beyond – lettera a chi non è andato oltre, il film dell’esploratore e attivista ambientale Alex Bellini, che documenta la sua avventura sul ghiacciaio islandese Vatnajokull del 2017, nella quale ha quasi perso la vita cadendo nel cratere del vulcano inattivo lì presente. Riemergendone vivo, decise di proseguire la missione in solitaria, mentre il suo compagno di viaggio – un fotografo d’avventura – non si sentì di procedere oltre. Nel 2025 decise di tornare su quei luoghi e di completare le riprese con riflessioni sul significato di esplorazione e di limite, catturate dal coregista Francesco Clerici – laureato in storia dell’arte, documentarista e docente universitario, vincitore del premio Fipresci al Festival di Berlino nel 2015 con il suo primo film Il gesto delle mani -.

“Quando la fatica, il dolore, la deprivazione dal sonno ti portano a superare quel limite che sembra definire la fine ma che poi diventa l’inizio di qualcos’altro, c’è prima di tutto un’auto-esplorazione, una forma di autoconoscenza. L’esperienza del 2017 mi ha portato a riflettere sul significato di limite: non necessariamente siamo sempre obbligati ad andare oltre. Guardandolo, ad esempio, dal punto di vista climatico – ambientale, l’uomo è così abituato al superamento di ogni limite da non porsene più nessuno. Con questo film volevamo invece capovolgere il paradigma, apprezzando chi non è andato oltre e di conseguenza i limiti che vanno rispettati. Allora per me c’era solo la possibilità di andare avanti, a distanza di tempo, mi sono reso conto che invece le possibilità erano molteplici e io ne avevo scelta una”, racconta Bellini, presente in sala al termine della proiezione insieme a Clerici.

Il documentario evidenzia bene la linea di demarcazione tra le percezioni del fotografo e dell’esploratore nel momento della caduta: per il primo il compagno è precipitato verso il basso, mentre il secondo se ne sente riemergere più forte di prima. “Lì per lì mi sono sentito tradito dal suo rifiuto a proseguire, ma a distanza di anni ho capito che quella decisione è stata frutto delle nostre diverse percezioni dell’accaduto. Per me era stata una lotta tutta interiore da cui ero uscito vincitore, mentre per lui era stata una concatenzione di cause esterne che avevano portato all’incidente potenzialmente mortale”.

A questo proposito Clerici spiega di essersi immaginato il film “come uno spazio mentale che parte dalla memoria di Alex, ma potrebbe benissimo essere un sogno o una sua riflessione, per questo era importante che i piani temporali si mescolassero un po’. Le parti girate con la GoPro nel 2017, montate in ordine cronologico, si intervallano con le interviste e le riprese da drone svolte nel 2025, in modo che la riflessione del futuro aggiungesse un lato più onirico alla durezza del viaggio: per lo spettatore diventa così un’esplorazione mentale del protagonista e non solo la visione di una fatica fisica”.

A pochi chilometri dal termine della spedizione Bellini deve prendere un’altra difficile decisione: abbandonare la slitta con tutto l’equipaggiamento che fino a quel momento è stato fondamentale per la sua sopravvivenza. “Finale nel documentario ma centrale nella mia storia è stato riuscire a distinguere quello che puoi controllare da quello che invece puoi lasciar andare. La slitta diviene così metafora di un fardello di conoscenza, competenza, tradizione e storia che talvolta ci impedisce di maturare e di diventare le persone che dobbiamo essere: liberarsi delle cose superflue è fondamentale per poter giungere in fondo al proprio cammino”.

Non poteva allora che essere il mito della caverna di Platone a chiudere in bellezza questo viaggio fisico, mentale e spirituale. Gli uomini della caverna osservano le ombre proiettate da una luce proveniente alle loro spalle e credono che quella sia la realtà perché è l’unica cosa che conoscono, ma alcuni hanno il coraggio di voltarsi, uscire e scoprire il mondo. Quando tornano a raccontare ciò che hanno visto, la maggior parte delle persone non crede loro. “L’ignoto spaventa ma che mondo vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi?”, si chiede Bellini, pensando alle proprie figlie che sta per riabbracciare.

E in sala conclude: “L’esplorazione è una caratteristica insita nell’essere umano e non si fermerà davanti a nessun limite terrestre o extraterrestre. Penso però che si sia giunti a un punto in cui si debba ridefinirne il significato: non più quello di muoversi verso territori sconosciuti o inviolati, ma quello di riuscire a guardare con occhi nuovi le solite vecchie cose. Scoprire che su vie su cui si è camminato decine di volte, ci si riesce ancora a sorprendere di un particolare, di una connessione, di un angolo a cui non si aveva mai fatto caso, fa sì che l’esplorazione diventi un esercizio mentale per tutti e non solo per chi ama il freddo e i luoghi remoti”.

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giovedì 15 Maggio 2025