Stessa spiaggia, stesso sprofondare
Se aguzzo un poco lo sguardo mi pare quasi di scorgerli. Appiccicaticci, nonostante i climatizzatori al massimo, per via dei trenta gradi all’ombra, con mani e labbra rese unte da fritte ghiottonerie take away. Avventurieri e motivati, conficcati nelle loro piccole automobili ‒ per le quali più d’uno deve ancora pagare diverse rate ‒, incolonnati per raggiungere una delle incantevoli località balneari della Penisola italiana.
Per una settimana, i più fortunati per due, tutti legittimati a sconnettere il cervello e a concedere ai neuroni (ancora) attivi uno stacco dalla routine. Poco male se, per potersi permettere pochi giorni da sogno, si è dovuto scaricare il nonno da quella vecchia cugina che lui tanto detesta e se il cane, invece, l’hanno addirittura abbandonato in uno spiazzo vicino ad una fattoria.
Da oggi, stop ai pensieri. Seppur per poco tempo, si può dire addio a quella vita monotona, scandita da appuntamenti improrogabili e fastidiose seccature, e lasciare quel tugurio cocente in cui ormai si arranca per via della calura.
Finalmente ci si potrà affrancare da undici mesi di stress e di preoccupazioni: poco male se l’acqua del mare sarà tutt’altro che limpida e l’aria non certo scevra di quei fumi tossici rilasciati dalla vicina area portuale. Da domani, spaparanzati, abbronzati e sorridenti, saranno i rotocalchi rosa e le notizie di calciomercato a regnare incontrastati.
Ma per intanto si rimane imbottigliati, la coda è chilometrica. In una delle migliaia di auto, l’uomo si dispera per non aver dato ascolto a quella vocina in testa che gli sibilava di partire alle cinque del mattino, la donna inveisce contro la macchina davanti e la figlia se ne rimane zitta con gli auricolari nelle orecchie. Grazie al cielo, radio, cellulari e dispositivi elettronici vari, fondamentali cordoni ombelicali con la vita, garantiscono l’irrinunciabile afflusso di informazioni dal mondo.
La fila riparte, e ora via a tutta birra. I balli di gruppo e i tormentoni estivi, che da mesi impazzano, sono già lì ad attenderci.
Attualità
Gentili Renato e Mariuccio,
vi rispondo insieme, visto che i vostri commenti in un certo senso si assomigliano.
Innanzitutto vi ringrazio per averci scritto. Il confronto delle idee è un bene prezioso che va riconosciuto e valorizzato, specie in tempi dove sembra prevalere il luogo comune, il pregiudizio, il disinteresse. Detto questo, due precisazioni.
Gianni Paris ha forse fatto di tutte le erbe un fascio. Tuttavia, in una civiltà dominata dai consumi, allentati più dagli effetti della crisi che da una serena revisione di comportamenti palesemente sopra le righe, mi sembra difficile sostenere che i contenuti dell’articolo in questione siano del tutto infondati. Il modello descritto è datato, più vicino agli anni Ottanta che alla situazione di oggi. Ma questo nulla toglie agli effetti distorsivi di un’epoca dove l’effimero e l’adeguarsi alle mode, soprattutto nei consumi, più che un’eccezione è la regola. Prendere le distanze da questi modelli, anche se in modo ingenuo e un po’ semplificato, più che «staccare il cervello» ho l’impressione che lo connetta.
Faccio notare, solo per la cronaca, che la catena di montaggio nelle economie occidentali non rispecchia la generalità del lavoro, ma una porzione simbolicamente significativa ma quantitativamente irrisoria.
La seconda considerazione, la più importante, riguarda l’esigenza irrinunciabile di rispettare, ancor prima dell’opinione, la persona che la esprime.
Non è una colpa essere under trenta. E non è una colpa, almeno nella maggioranza dei casi, essere un giovane che non trova lavoro. Circostanza che di questi tempi non è purtroppo un evento raro. Per fortuna non è il caso del nostro giovane opinionista, ma anche se lo fosse, se non avesse mai fatto neppure una giornata di lavoro, farsi delle domande e cercare delle risposte, possibilmente usando la testa, è un bene di cui il mondo di oggi ha vitale bisogno. Poi, le opinioni possono essere tante, ma la dialettica costruttiva deve misurarsi sul merito delle questioni e non sul metro deformante e irrispettoso dei giudizi.
Mauro Marcantoni
Da quel che scrivi in questo articolo è evidente che non hai mai lavorato in vita tua
Gianni, scusa, quanti anni hai?
Prova a pensare ad una cosa, una piccolissima cosa: catena di montaggio.
Poi mi dici com’è viaggiare unticci per raggiungere località balneari della penisola. Prova a pensare a chi, come me, non sa se il mese prossimo avrà ancora un lavoro ma, lasciamelo dire “si è fatto un culo così” per anni interi senza staccare. Pensi davvero che le persone “stacchino il cervello”? Mi sa che quello che si è staccato il cervello mentre scriveva questa cosa sei te.