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Living Memory 2023: Femminile, è il corpo senza diritti?

Nell’ambito del Living Memory 2023 si è tenuto un incontro sul tema della disumanizzazione del corpo femminile dalla Seconda Guerra Mondiale alla contemporaneità con la presenza di Michele Andreola, guida ufficiale del Museo Auschwitz-Birkenau, e di Sara Hejazi, ricercatrice FBK ed editorialista del quotidiano Il T.

“Private violentemente degli abiti, ultimo possesso e ricordo di casa, ci trovammo nude davanti a noi stesse nel locale delle docce”, esordisce Andreola, citando Questo povero corpo di Giuliana Tedeschi (1946). La disumanizzazione passa per prima cosa dal corpo, attraverso una spogliazione fisica ed interiore, in un’epoca in cui il senso di pudore impediva alle figlie di cambiarsi davanti alle proprie madri.

Le prime ebree polacche arriveranno ad Auschwitz il 26 marzo 1942 e da quel momento fino alla liberazione si registra la presenza di ben 131 mila donne in totale. Le loro condizioni erano peggiori di quelle degli uomini dai quali venivano immediatamente separate: scarse condizioni igieniche, nessun accesso ai bagni e all’acqua, e completa assenza di intimità. “In queste condizioni, la morte miete un enorme raccolto. Durante la notte ci saranno più di 50 prigionieri morti in ogni edificio”, ci racconta Andreola attraverso la testimonianza di H. Wlodarska.

Nella sezione femminile vi erano poi due blocchi tristemente noti: il 10, il blocco degli esperimenti, e l’11, il blocco della morte, in cui si veniva giudicate e fucilate. Le sperimentazioni si basavano soprattutto sulla sterilizzazione di massa e la cura delle malattie.

“Nonostante questo le donne resistevano: su 928 tentativi di fuga registrati ad Auschwitz, 50 furono i successi al femminile. Il 23 ottobre 1943 al Crematorio II, un gruppo di donne con i loro bambini, resesi conto che stavano per morire, si ribellarono alle SS, uccidendone una e invalidandone a vita un’altra. La ribellione venne subito repressa, ma la loro forza si ricorda tuttora”, continua la guida.

In realtà la maggior parte delle donne deportate veniva uccisa dopo un’ora dal loro arrivo: tutte le mamme venivano portate immediatamente alle camere a gas perché, dopo aver perso i propri figli, erano dichiarate inabili al lavoro.

“Anche nella contemporaneità la spogliazione dei diritti parte dal corpo: i media, ad esempio, strumentalizzano il corpo femminile non solo a fini pubblicitari ma semplicemente per tenere ancorato il pubblico”, prosegue Hejazi.

La cultura è in continua evoluzione ma per 500 anni si è basata su un universale umano e divino maschile, al quale ci si è adattati. “Abbiamo escluso il 50% della popolazione da questa narrazione. Anche ora che è in corso una post-umanizzazione, il corpo femminile deve sempre essere il simbolo di qualcosa, che sia la purezza e la modestia – si pensi ad esempio al velo islamico – o la sensualità e l’eroticità – dettata da un immaginario irraggiungibile di bellezza ideale costruita con l’ausilio della tecnologia. Non sono più gli altri a strumentalizzare il nostro corpo ma noi stessi per raggiungere scopi consumistici ed economici”, spiega la ricercatrice.

La parola torna poi ad Andreola che conclude con il ricordo di Liana Millu, partigiana deportata ad Auschwitz ed autrice del libro Il fumo di Birkenau, storia di sei donne poste di fronte a scelte impossibili: “Il contrario della pace non è la guerra ma l’indifferenza”.

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