Per una politica che creda nei miracoli, intervista a Gianrico Carofiglio

Foto di Stefania Gadotti

C’è una certa enfasi nel termine ‘miracolo’, ma a volte bisogna avere il coraggio di maneggiare l’enfasi, altrimenti il rischio è quello di sottrarsi alle emozioni, e nella politica le emozioni sono fondamentali”. Esordisce così Gianrico Carofiglio, ospite a Civezzano della rassegna di eventi “Agosto degasperiano 2021. Su sentieri incerti”. L’ex magistrato, tra i più letti e apprezzati scrittori italiani, è stato chiamato ad affrontare il tema della crescente disillusione nei confronti della politica e a riflettere, nel corso di una serata ricca di spunti di riflessione, su come sia possibile sfuggire alle manipolazioni e tornare a camminare con convinzione lungo il sentiero dell’impegno pubblico e politico.

L’abbiamo intervistato per approfondire alcune tematiche relative all’incontro.

Dottor Carofiglio, il titolo della serata che l’ha vista ospite è “Per una politica che creda nei miracoli”. Alla luce della delicata fase storica che stiamo attraversando, qual è il miracolo principale a cui la politica, e di conseguenza noi tutti, dobbiamo aspirare?

Domanda difficile, ne occorrono parecchi. Se devo immaginarne uno solo penso a una pratica della politica capace di liberarsi del personalismo e del narcisismo, capace di praticare un’autentica idea di comunità e solidarietà.

Secondo lei, in relazione all’incremento della sfiducia e della disillusione nei confronti della forza creatrice della politica a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, che effetto ha avuto la pandemia? Ci ha resi più consapevoli dell’importanza di una buona rappresentanza o ci ha allontanati ancor di più da questa convinzione?

Credo che entrambi gli effetti si siano in qualche modo verificati. Chi crede nella possibilità di una buona politica deve prendere spunto dagli sprazzi di consapevolezza positiva generati dalla pandemia e cercare di indirizzarli verso il cambiamento auspicato.

Lei, in qualità di scrittore, lavora professionalmente con le parole. Quale ruolo giocano, nel bene e nel male, il linguaggio e le parole “scelte” dalla politica contemporanea per attualizzarsi? 

Oggi la parole – sistematicamente vuotate di senso – giocano soprattutto come negativi fattori di manipolazione collettiva. Uno dei compiti della buona politica consiste proprio nel restituire significato, e dunque efficacia trasformativa, alle nostre parole. 

Assistiamo, in molti casi, ad un’estrema semplificazione della comunicazione politica…

Più che di semplificazione si tratta di una estrema banalizzazione, mancanza di contenuti, attitudine non a comunicare ma a manipolare eccitando spesso i peggiori istinti delle persone. La buona comunicazione politica è quella capace di esprimere un sistema di valori in modo da renderli comprensibili, di attivare emozioni positive, insomma di mettere in moto il cambiamento.

Come si può distinguere un buon politico da un politico mediocre? 

Ho alcune regole per operare questa distinzione. Il buon politico non trasforma la sua azione in un fatto personale (e non mi riferisco semplicemente alle condotte illecite, più facili di decifrare), supera la trappola dell’ego, è capace di ammettere i propri errori e i propri limiti, è capace di cogliere cosa c’è di condivisibile nelle posizioni diverse dalla sua, è incline al compromesso inteso come forma di composizione di posizioni diverse e apparentemente incompatibili. Poi naturalmente conviene che sia anche competente.

Nel suo ultimo saggio lei afferma che un cittadino consapevole deve essere in grado di fare agli altri, e a se stesso, “buone domande” e che qualità imprescindibili sono la “gentilezza” ed il “coraggio”. Partendo da ciò, quali sono gli anticorpi culturali da consegnare alle nuove generazioni nell’ottica di una cittadinanza sempre più responsabile?

Più o meno quello che ho detto nella precedente risposta a proposito del buon politico vale anche per il buon cittadino, cioè appunto il cittadino consapevole. Gli anticorpi sono la curiosità, la capacità di riconoscere i punti di vista altrui, la disponibilità a correre rischi intelligenti, la capacità di ammettere i propri errori e di apprendere da essi. La cittadina e il cittadino consapevoli, soprattutto, rifiutano la peggiore malattia della convivenza e della solidarietà, cioè l’indifferenza rispetto alla vita comune.

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venerdì 28 Marzo 2025