Soli non sempre è bello, ma a volte sarebbe meglio

Raccolgo la sfida di riflessione di Undertrenta: “Soli è bello, o è una scelta obbligata?”

Una volta era la morte. Non un coma, un’anestesia, un sonnifero più o meno potente e neanche una botta in testa. Una volta si moriva per davvero. Se lo si voleva.
Senza social, senza telefoni, senza mail. C’era solo il passaparola che ad un certo punto si esauriva. Una volta c’era un inizio e poi arrivava la fine. Un ordine naturale, consequenziale e semplice. Non rimaneva nessuna traccia di ciò che si aveva vissuto, potevano essere anni, decenni, o pochi giorni condivisi insieme. Se si chiudeva una porta, davanti ad una persona, l’immagine rimaneva fedele al suo significato: un’ombra, sola, in piedi davanti ad una parete vuota e chiusa per sempre. Altro non c’era.

Oggi chiunque ha a disposizione chiunque, in qualunque momento. Chi non ha mai riallacciato un rapporto per telefono? Chi non ha mai concluso una relazione con un messaggino o una chiamata? Andando però poi puntualmente a spiare tutti i suoi social network, da Instagram, a Facebook, a Linkedin, a Twitter e a TikTok, la lista è davvero troppo lunga. Così lunga che pare di essere delle figurine, perennemente in vetrina e in bell’ordine, pronte in ogni momento per essere agganciate, da chiunque voglia farlo. Agganciate e sganciate, tanto prima o poi un altro gancio arriva.

E perciò, in questo paradosso messo in scena, quale tra queste figurine può dirsi veramente sola? Nemmeno quella che è stata appena sganciata, poiché ha la certezza di non esserlo mai veramente, per la stessa natura del mondo al quale appartiene. Può dirsi per questo forse in compagnia, accompagnata, accoppiata, congiunta, unita? Anche il concetto contrario alla solitudine va in effetti ripensato. Perché persino lo stare insieme oggi è molto più complesso. Cosa significa, oggi, chiudere una relazione? Perdere un’amicizia? Rimanere soli? Oppure, al contrario, cosa significa stare insieme?

Inizierei rispondendo che non si perde mai più nessuno per davvero. Bastano pochi clic per avere tutto e tutti a disposizione. E poi spesso stare insieme è diventata una tortura necessaria, per mettere a tacere il proprio senso di vuoto insostenibile. In due a volte ci si sente più soli che da soli.

E gli irriducibili “single”? L’escalation di single? Ecco forse quest’ultima espressione mostra di per sé il suo significato ridicolo. Queste persone sono spesso attorniate da una miriade di rapporti fugaci. E sabbiosi. Come la sabbia, sì, perché sono tanti e piccoli e ognuno di essi è insignificante nella sua identità. Eppure pesano sulle spalle di chi li porta. Un peso che fa sentire meno soli, a volte, al costoso prezzo di continuare a schiacciare, senza limiti. Si generalizza, per poter ragionare su un fenomeno sociale e capirlo nelle sue sfumature.

Rilancio la sfida, cercando di chiarire il senso che hanno acquisito oggi questi due modi di vivere, soli o accompagnati.

Aggiungerei un’altra sfumatura: la vera solitudine ha perso il suo ruolo di guida nella crescita degli individui. Se qualcuno dicesse a voce alta che preferirebbe stare solo, non si potrebbero ignorare gli sguardi inorriditi e spaventati, come se stare soli fosse una grave malattia, invece che una profonda esigenza di ognuno. La vera solitudine, intesa come un fenomeno d’amore per sé stessi, sia esso doloroso o gioioso, è un momento fondamentale di formazione personale. Ognuno dovrebbe desiderarlo, prima ancora di desiderare l’anima gemella. Ed anche una volta accasati, la solitudine rimane il nostro motore. Se usato bene, porterà lontano noi e i nostri amori. Se usato male, ci farà tutti affondare.

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sabato 7 Dicembre 2024