Smart working e sostenibilità: sì, ma a video spento
Lo smart working, per i più, non è stata una scelta elettiva, ponderata e ben pianificata, ma una necessità imprescindibile imposta all’improvviso dall’esterno. Lo stesso vale per la DAD, che realtà formativo-scolastiche, docenti e alunni hanno dovuto affrontare senza un minimo di preavviso. Questo ha comportato e sta ancora comportando grandi disagi a diverse fasce della popolazione, in un mix di carenze infrastrutturali e tecnologiche, stress da videoconferenza e sensazione di isolamento.
In tutto ciò, talvolta, una discreta consolazione ci viene dal pensiero che non muovendoci da casa stiamo dando un nostro contributo alla salvaguardia dell’ambiente, oltre che risparmiare denari per benzina, tariffe per i trasporti e pranzi fuori. Senz’altro, vien da pensare, la drastica diminuzione degli spostamenti è una conseguenza positiva dello smart working, elettivo o forzato che sia. E in effetti è così, anche se contrariamente a quanto potremmo credere, lavorare da casa non è a impatto zero.
Un recente articolo pubblicato sulla rivista scientifica Resources, Conservation and Recycling riporta i risultati dello studio dedicato a questo tema da un team di ricercatori della Purdue University, della Yale University e del Massachussetts Institute of Technology (MIT). In particolare, lo studio si concentra sulla valutazione dell’impatto ambientale derivante dall’utilizzo di Internet in termini di impronta di carbonio, uso del suolo e uso dell’acqua.
I risultati dello studio ci allertano sul fatto che un’ora di videoconferenza comporta una emissione tra 150 e 1000 grammi di diossido di carbonio, a seconda del servizio utilizzato. Certo, comparato con gli 8.887 grammi di carbonio emesso da una autovettura per ogni gallone di gasolio consumato (1 gallone = circa 3,8 litri), sembra poca cosa, ma non è comunque a impatto zero. Va considerato infatti che quella stessa ora di videoconferenza comporta un consumo tra 2 e 12 litri di acqua e un consumo di suolo della dimensione pari, su per giù, allo schermo di un iPad Mini.
Questa impronta ambientale va ad aggiungersi a tutta quella che poi causiamo durante le nostre giornate in particolare guardando video in streaming, utilizzando le più comuni app oppure semplicemente navigando o giocando online. Ciò che emerge è che più si usufruisce di video, soprattutto in alta definizione, più alto è il costo a livello ambientale. È per questo che sul podio delle app a maggior impatto troviamo al terzo posto Tik Tok, al secondo Zoom e, al primo con grandissimo distacco, Netflix. Per dare un’idea, se una persona guarda 4 ore di Netflix in HD per un mese, la corrispondente emissione di CO2 è di 53 kg. Se la stessa persona sceglie invece la qualità standard, si passa a soli 2,5 kg di CO2. Una bella differenza!
L’esito della ricerca ci suggerisce quindi che stare a casa seduti davanti al computer in smart working non basta per dirsi veri contributor della salvaguardia ambientale. Bisogna iniziare a prestare massima attenzione anche ad altri aspetti, tra cui l’uso che facciamo dei video, riducendone il più possibile la quantità e rinunciando all’altissima definizione in favore della standard. Sì alle videoconferenze di lavoro quindi, che sicuramente hanno un minor impatto di prendere la macchina e incontrarsi di persona, ma possibilmente senza video attivo per ore e ore tutti i giorni, tanto più in HD.
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domenica 8 Dicembre 2024