Nati sotto il segno del Coronavirus
Compiono oramai un anno le bimbe e i bimbi di tutto il globo che sono nati dopo lo scoppio della pandemia. Un primo anno di scoperte, di crescita, di vita che è stato molto diverso da quello di cui hanno potuto godere i nuovi nati che li hanno preceduti, aprendo molti interrogativi sugli effetti che certe privazioni potranno avere sul loro sviluppo. “I bambini si adattano a tutto”, si sente dire. “Tanto loro non lo sanno com’era prima”, potranno presumere altri, ma la preoccupazione dei neogenitori non si mitiga purtroppo con una frase fatta.
Gli studi a riguardo sono solo agli inizi, proprio per l’essenza stessa del fenomeno da studiare, per l’appunto appena nato, oltre che complesso. Quella che è sicuramente già ben nota, tuttavia, è la crucialità dei primi mesi e anni di vita per lo sviluppo, la salute e il benessere a lungo termine del bambino. Durante il primo anno il suo sviluppo avviene in modo rapidissimo tanto che, facendo tesoro in maniera straordinaria e sorprendendosi di tutto ciò di cui ha la possibilità di fare esperienza attorno a sé, il cervello raddoppia di volume. Dal momento della nascita, ogni bimbo è uno straniero in una terra sconosciuta e misteriosa che deve imparare a comprendere e gestire. Più l’ambiente circostante è stimolante e vario, soprattutto dal punto di vista delle interazioni sociali, più avranno possibilità di dispiegarsi le sue capacità di linguaggio, quelle cognitive e quelle relazionali.
Volendo concentrarci sull’Italia, stiamo parlando di circa 390mila bambini nati da marzo del 2020 ad oggi, secondo una veloce mia stima sulla base di dati e stime Istat per il 2020 e il 2021, annate che per inciso insieme al 2019 registrano per tre volte di seguito il minimo storico di nuove nascite dall’Unità d’Italia in poi. Ebbene, questi bimbi probabilmente avranno avuto meno opportunità di relazionarsi con altri adulti oltre ai loro genitori o con altri bimbi della loro età. Forse alcuni non avranno ancora potuto conoscere i nonni o gli altri parenti che magari vivono in città diverse. Non avranno ricevuto molte visite di altre persone a casa, né di contro saranno stati insieme ai genitori in visita a casa d’altri, al ristorante, in vacanza, all’asilo o in una quantità indefinita di altri luoghi tutti da scoprire. Hanno perso, insomma, molte opportunità.
La maggior parte di coloro con cui hanno avuto a che fare indossavano una mascherina. “Quando indossiamo la mascherina, il suono che i bambini percepiscono sono più indistinti e, in più, loro non possono vedere le nostre labbra e le nostre espressioni facciali”, sottolinea Janette Chow, ricercatrice del Dipartimento di Psicologia sperimentale dell’Università di Oxford. Non sapendo ancora quale entità e durata avrà l’impatto di questo aspetto sullo sviluppo del linguaggio, aggiunge, “tocca principalmente ai genitori cercare di porre rimedio a questa lacuna, rimboccandosi le maniche e interagendo con i loro bimbi, anche con soluzioni creative”.
“Gli studi suggeriscono – ricordano Sunil Bhopal e Pasco Fearon, rispettivamente docente di Pedriatria all’Università di Newcastle e docente di Psicopatologia dello Sviluppo allo University College London – che la chiave per lo sviluppo sono il gioco e la stimolo, tipici di quelle interazioni back and forth tra caregiver e bambino”. Via libera a seguire l’interesse spontaneo dei bimbi per qualche oggetto o attività, a nominare gli oggetti, a parlargli, ridere, cantare e leggere. “Tutte attività semplici dal costo minimo che mantengono però attivo l’apprendimento e lo sviluppo del bambino anche mentre il mondo esterno sta vivendo una difficile crisi”.
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giovedì 7 Novembre 2024