“Mi sembrò di vivere in un romanzo e decisi che quello era il luogo adatto a me”, la traduttrice Fiori Picco racconta il suo amore per la Cina
Fiori Picco, nata a Brescia, è sinologa, scrittrice, traduttrice letteraria ed editrice. Fin dall’infanzia ha sempre sentito un legame profondo e viscerale con la Cina; per questo, dopo la laurea conseguita alla Ca’ Foscari di Venezia, si è trasferita a Kunming, nello Yunnan, dove ha vissuto otto anni insegnando all’università, svolgendo ricerche di antropologia e scrivendo i suoi primi racconti e romanzi. Il suo amore per la cultura cinese, in particolar modo per le minoranze etniche, si è rafforzato nel tempo grazie alle esperienze vissute, alle amicizie consolidate e al lavoro di scrittura e di ricerca
Fiori, come è nato il tuo amore per la Cina?
Andai in Cina per la prima volta nel 1996. All’epoca Pechino non aveva nulla dell’aspetto odierno, della metropoli olimpionica dai grattacieli spropositati. Era ancora la vecchia capitale asiatica, misteriosa e intrigante; per le strade c’erano i cartelloni pubblicitari in stile vintage del periodo maoista, le studentesse portavano lunghe trecce e nei vicoli circolavano numerosi risciò. Mi innamorai subito di quell’atmosfera nostalgica e particolare, ebbi l’impressione di vivere in un romanzo e decisi che quello era il luogo adatto a me.
In tanti anni hai conosciuto molti scrittori cinesi famosi…
Avendo vissuto tanti anni in Cina, nel tempo ho stretto relazioni importanti che mi hanno arricchita umanamente e professionalmente. Nel 2016 sono stata invitata a Changchun, al congresso internazionale di scrittori e di sinologi, dove ho conosciuto nuovi colleghi con cui collaboro tutt’oggi. Nel 2018, insieme a scrittori provenienti da tutto il mondo, ho avuto l’onore di partecipare all’International Writing Program di Pechino. Queste esperienze mi hanno permesso di varcare i confini della traduzione, infatti adesso non traduco solo autori cinesi ma anche giapponesi e vietnamiti.
La professione del traduttore: c’è il rischio, nel corso della traduzione, di “perdere” alcuni concetti e sfumature dell’opera originale?
Tradurre dal cinese non è semplice perché la lingua, per grammatica e per sintassi, è molto diversa dall’italiano. Ritengo che un buon traduttore debba rispettare l’opera originale e i sentimenti dell’autore adattando la lingua di partenza a quella di arrivo. I contenuti devono essere chiari ai lettori del Paese in cui il libro viene pubblicato e diffuso, per questo, a volte, è necessario apportare delle modifiche, soprattutto quando si incontrano proverbi locali e modi di dire. Per esempio, in Cina, l’espressione “Cavallino di bambù e prugna acerba” significa “due giovani innamorati fin dai tempi dell’infanzia”; in questo caso, l’espressione è soave e romantica e può essere tradotta letteralmente inserendo una nota a piè di pagina. Mentre un altro proverbio cinese meno soave è: “Il cane non cambia l’abitudine di mangiare le feci”. In questo caso è meglio tradurre “Il lupo perde il pelo ma non il vizio.”
Quando impieghi a tradurre uno scritto? Devi chiedere dei permessi?
La durata della traduzione dipende dallo spessore del libro, posso impiegare un anno o due anni. E’ un lavoro lungo e impegnativo. Per tradurre un’opera letteraria bisogna sempre chiedere il permesso all’autore e firmare un contratto. Devo dire che molti sono gli scrittori che mi contattano direttamente chiedendomi di tradurre un loro libro. Alcuni scrivono nuove opere per me, ed è una grande soddisfazione perché significa che mi stimano. Sicuramente apprezzano il fatto che, oltre a essere una sinologa, sono anche una scrittrice. Per loro è una garanzia. Le tematiche dei libri che traduco sono perlopiù storiche, sociali e antropologiche. Gli autori affrontano questioni importanti che riguardano tutta l’umanità: dalla tutela dell’ambiente alle conseguenze della guerra, dal maschilismo all’emancipazione femminile. Si parla anche di affetti, di amore, di amicizia e di onestà.
Hai viaggiato tanto. Qual è il tuo “posto nel mondo”?
La Cina sarà sempre dentro di me; anche se ora vivo in Italia, il filo rosso con la cultura cinese non si potrà mai spezzare. In questo periodo è difficile stabilire quale sia il mio posto ideale; a Brescia c’è la mia famiglia e da due anni e mezzo ho avviato la mia casa editrice. A pandemia conclusa, mi aspettano numerosi viaggi: in Cina e in Giappone e per questo non sento troppo la mancanza dell’Oriente.
C’è un pensiero, una frase, che vuoi lasciare ai nostri giovani lettori?
Pensando ai miei cari amici e colleghi in Cina, riporto una frase che rappresenta il mio profondo legame con loro e che è tratta da un libro che ho tradotto un anno fa. E’ di Satoko Motoyama, un’autrice giapponese, e si intitola “La felicità secondo Sachiko”: “L’amicizia è il bene più prezioso. Insieme al tè alle erbe è una medicina naturale per la nostra salute psicofisica. Non bisogna mai rinunciare ai piaceri che regalano la gentilezza e un sincero gesto d’affetto.”
Approfondimenti
Twitter:
domenica 8 Dicembre 2024