L’invenzione della nostalgia

 

Ci sono stati tempi vissuti a pieno ed altri invece scivolati fra le dita come granelli di sabbia. Abbiamo memoria di momenti felici, tremiamo al ricordo di dolori passati e ci sforziamo di rivivere nella mente quanto (o chi) ormai ci pare irrimediabilmente lontano.
Mio nonno apparteneva a quel tipo di generazione i cui racconti vengono (o dovrebbero essere) gelosamente custoditi in libri, film e da persone.

Quando mi parlava delle sue avventure in Africa, il cuore mi si faceva piccolo piccolo: ammiravo quell’uomo come si ammira il coraggioso eroe d’un libro ed invidiavo un po’ tale sua romanzesca esistenza fatta di straordinarie esperienze da tramandare. Quello che provavo quando immaginavo la Jeep su cui viaggiava, savana e leoni, non lo capivo. La parte più difficile del sentire qualcosa dentro, infatti, è saperlo poi tradurre a parole, rendendolo comprensibile a se stessi ed agli altri. È necessario alle volte vivere le medesime emozioni più volte ed in differenti momenti per poter acquisire la capacità di nominare quanto si prova. Io, lo capii dopo molto tempo.

Quando tornai in Italia dopo un anno vissuto in Inghilterra, sentivo che la mia vita britannica ed i miei nuovi amici mi sarebbero irrimediabilmente mancati. Quando qualche anno più tardi rientravo invece da un’esperienza di Erasmus in Germania, provavo lo stesso fastidioso groviglio in pancia. Oggi, invece, il mio stomaco si stringe in una morsa e non lascia spazio quando ripenso a mia madre.

Poi, quando tutto è passato, mi torna in mente quell’intraprendente uomo che fu mio nonno. Uno di quelli che i soldi ai nipoti li dava rigorosamente di nascosto, anche solo per vederli sorridere. Uno di quelli che non seppe mai cosa volesse dire ammalarsi, poiché cosciente di quale fosse il rimedio assoluto ad ogni male: il miracoloso «latte caldo con miele».

Nonno Luigi, che a scuola non ci andò mai perché lui si «impar[ava] da solo», quando raccontava il suo passato di soldato e missionario mi rendeva tristemente consapevole d’una amara verità: le sue storie, che per sempre avrei portato goffamente con me, erano figlie d’una straordinaria generazione che di lì a poco si sarebbe per sempre spenta. Ho impiegato anni per comprendere che quello che nonno mi faceva provare si chiamava nostalgia. E quel dolce e malinconico sentimento mi ha accompagnata sempre, aggrovigliandosi insieme alla mia pancia ed al mio cuore quando sentivo che qualcosa o qualcuno non sarebbe più tornato e che certi bei giorni sarebbero rimasti catalogati fra i ricordi di “ieri” e non avrebbero potuto più ripresentarsi, né oggi né in futuro.

Con la nostalgia, come con gioia e dolore, bisogna imparare a starci insieme. A prenderla per mano incamminandosi su quello che è il nostro di cammino, arricchito dalle esperienze proprie e quelle d’altri, ringraziando chi, come gli antichi Greci, riuscì finalmente a dare nome a quegli intraducibili garbugli d’emozioni che, alle volte, prepotentemente continuano ad imporsi.

Approfondimenti
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

sabato 27 Luglio 2024