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La diaspora silenziosa delle Isole Chagos: una soluzione esiste

L’arcipelago delle Isole Chagos conta 7 atolli, per un totale di 54 isolette, presenti nel bel mezzo del Territorio britannico dell’Oceano Indiano. Sono dipinte da sempre come un paradiso terrestre e sono state parte delle colonie inglesi dal 1814, quando vennero scorporate da Mauritius in seguito all’indipendenza di quest’ultimo stato dall’UK stesso.

I chagossiani sono stati prima vittime del colonialismo – la cui storia è ben nota a tutti – e poi del periodo di decolonizzazione avvenuto durante la metà del 20° secolo, perché come riportato dallo storico Mark Curtis, l’impero britannico non si è estinto, è riuscito a sopravvivere parzialmente. La resistenza del modello imperialista è chiaramente visibile nella nuova vita che fu “regalata” alle Isole Chagos, che dal 1965 hanno visto la propria mite routine stravolta: le poche migliaia di abitanti presenti vennero deportate, finirono a vivere principalmente tra Mauritius e Inghilterra. Molti morirono per l’improvvisa e violenta saudade, altri finirono vittime della povertà, dell’alcool e della droga. Il processo di deportazione avvenne in molti casi con l’inganno e durò fino al ’73.

Il motivo principe fu un tacito accordo con gli Stati Uniti, per cui l’isola Diego Garcia, la maggiore per dimensione, sarebbe divenuta poi una base aereonavale, resa nota negli anni per l’elevato numero di raid aerei avviati negli anni, la posizione nel Pacifico è chiaramente strategica. A riguardo nessuno degli espatriati ebbe modo di dire nulla, ma quando col passare degli anni i tentativi di ripristinare lo status quo ante sono stati cercati dagli isolani, la Corona – quindi la regina Elisabetta II – si è sempre considerata esente da colpe.

I fatti passarono inosservati e, periodicamente, trattando la compensazione di un torto storico di proporzioni simili, la via scelta dal governo è stata quella del silenzio o del diniego. I momenti “peggiori” rimangono il ridicolo tentativo di compensazione nell’82 – 3 mila sterline a persona – e l’utilizzo della Prerogativa Reale, un’arcaica pratica chiamata in causa dal governo laburista di Tony Blair per scavalcare la decisione dell’High Court londinese, che nel 2000 giudicò le espulsioni illegali.

Nel secolo corrente i procedimenti aperti sono stati molti, di fronte a più tribunali e tendenzialmente vinti dai chagossiani, come con l’ICJ (2017, International Court of Justice) o di fronte alla corte dell’UNCLOS (2021, United Nations Convention on the Law of the Sea). Anche l’ONU, nel 2019, aveva giudicato illegale l’espatrio e aveva ordinato – con un margine di tempo pari a sei mesi – la restituzione in toto dei territori.

Ad oggi nessuno di quelli che definisce quella terra così lontana “casa” può viverci, ma ciò non toglie valore alla forte volontà di spezzare una sorta di maledizione generazionale: sono stati tanti negli anni quelli che si sono schierati con forza a favore del proprio popolo, in quella che risulta essere una micro-diaspora. Il segno che un cambiamento potrebbe arrivare è sempre più evidente, dato che nello scorso marzo, cinque persone – tra cui il leader del CRG (Chagossian Refugee Group) Olivier Bancoult e il rappresentante alle Nazioni Unite di Mauritius Jagdish Koonjul – sono sbarcati sulla spiaggia di uno degli atolli, Peros Banhos, per piantare una bandiera mauriziana, pregando e baciando quella terra che gli fu tolta ormai cinquant’anni fa.

Una delle mosse più discutibili dell’Inghilterra è arrivata nel 2009 e fu la scelta di definire un’AMP (Area Marina Protetta) lungo le coste chagossiane. Come rivelato da WikiLeaks, non c’era alcuna volontà di proteggere flora e fauna locali: si è trattato piuttosto di pulizia etnica. Il tutto era stato messo in piedi con la “complicità” del governo americano, per osteggiare la possibilità di un rientro di persone sull’isola.  Questa scelta potrebbe essere un’arma a doppio taglio secondo molti, perché – come da proposta di Mauritius durante la conferenza a tema “oceani” delle Nazioni Unite, tenuta il 1° luglio – la AMP potrebbe essere la svolta per il ripristino del corso naturale delle cose. I punti presentati durante l’incontro, sotto l’effige del Goal 14 dell’Agenda 2030, prevedono un nuovo stabilimento degli îlois nella loro terra natale, con lo scopo di preservare la biodiversità.

La possibilità di correggere una violenza storica di queste proporzioni sembra possibile ed è fondamentale che venga presa in considerazione: vivere nel 2022 e sapere di un’intera popolazione espatriata per fare spazio ad una base militare non è tollerabile, specie se l’atteggiamento colonialista è perpetrato, lungo un arco di tempo lungo mezzo secolo, da paesi autoproclamati a leader nel campo della democrazia.

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giovedì 18 Aprile 2024