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La cupa vita dell’insegnante

Per onestà intellettuale, devo precisare una cosa prima di cominciare. L’insegnamento non è una brutta professione, anzi. La possibilità di vivere e di essere vissuti – attraverso l’educazione data e ricevuta – è unica e preziosa, e propria solo di questo lavoro. Ed è anche l’unico modo per poter continuare davvero a crescere. Il problema sta nell’apparato di cui state per leggere: scadenze, riunioni, adempimenti. Il mestiere dell’insegnante si sta perdendo in un mare di burocrazia che rischia di renderlo freddo e sterile, quando invece c’è poco al mondo di così fertile e vivace. Ma è un ecosistema a rischio e bisogna combattere per preservarlo.

Basta guardarlo in faccia, un insegnante, per capire che c’è qualcosa che non va. Come si spiegherebbero altrimenti le facce lunghe, gli occhi spenti e quei sorrisi stiracchiati? E non è che ci sia bisogno di una particolare predisposizione per la fisiognomica, perché un insegnante lo riconosci anche distrattamente: sei in macchina, getti un occhio allo specchietto retrovisore ed eccolo là! È solo, alla guida di una utilitaria che boccheggia tristemente, col sole invernale che lo acceca, asfissiato da una nebbia di scadenze, riunioni, adempimenti, correzioni. Ne percepisci lo stato d’animo e i pensieri anche a distanza.

L’insegnamento è una brutta professione. Per di più, fa male alla pelle. Mestiere avaro di gratificazioni, l’insegnamento consiste nella continua ricerca dell’approvazione di un gruppo di adolescenti che hanno come obiettivo – in media – quello di renderti la vita un inferno. L’insegnante entra in classe pieno di speranza, imposta la sua lezione in un modo che gli pare ottimale, adopera perfino presentazioni audio-video zeppe di animazioni elaborate, si sbraccia e sbrocca, si interrompe e riprende, arriva al fatidico momento in cui lascia spazio alle domande e ciò che vede sono occhi bassi e volti annoiati. E allora lo sconforto lo prende.

Non va meglio quando esce dalla classe e incrocia un collega. Il collega sembra sempre passarsela meglio e questo getta nel cuore dell’osservatore amarezza e rancore: i suoi studenti sono preparati, i suoi studenti intervengono, i suoi studenti rispondono in maniera presente alle sollecitazioni. I miei invece sono amebe addormentate, e ridacchia, perché l’insegnante rancoroso non può far altro che ridacchiare per dimostrare al Collega Che Ce L’ha Fatta (Apparentemente) che in fondo non gliene frega granché di quello che accade in classe. Noi il nostro programma lo facciamo, lo stipendio arriva comunque, che vogliamo di più? L’insegnante rancoroso cerca di alleviare il suo disagio cercando una forma di complicità con il Collega Che Ce L’ha Fatta (Apparentemente), usa il “noi” per inebriarsi di quel successo.

Poi si salutano, dandosi appuntamento alla riunione pomeridiana o eventualmente al corso di aggiornamento del venerdì pomeriggio. Girato l’angolo, gettano entrambi la maschera, tornano a essere frustrati e stanchi, avviliti da una professione che non li realizza quanto vorrebbero. Salgono in macchina e se ne vanno. E allora li riconosci gettando uno sguardo allo specchietto retrovisore, senza che ci sia bisogno di una particolare predisposizione per la fisiognomica: facce lunghe, occhi spenti, sorrisi stiracchiati. Basta guardarlo in faccia, un insegnante, per capire che c’è qualcosa che non va.

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venerdì 29 Marzo 2024