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Intervista ad Elettra Caporello, la «Signora dei dialoghi»

Chiacchierare con Elettra Caporello è un po’ come andare alla scoperta di luoghi del mondo ancora poco sondati e che, sebbene sconosciuti, si davano comunque per scontati. La maggior parte di noi è abituato a guardare film stranieri tradotti in lingua italiana: apprezziamo (o meno) attori, storia e regista, ma scordiamo il lavoro di quelle anime nascoste (ed irrinunciabili) come Elettra.

In cosa consiste il mestiere di dialoghista?

Il mio lavoro consiste nel rendere scorrevoli e comprensibili in italiano i dialoghi di film stranieri, non solamente dal punto di vista meccanico, ma anche a livello di spirito. Le commedie sono i testi più impegnativi: piangiamo tutti allo stesso modo mentre il riso cambia, poiché legato all’immaginario di un popolo. Quello che fa ridere americani o giapponesi non fa ridere gli italiani, e viceversa, quindi si tratta molto di saper lavorare (e giocare) con le parole. Le faccio un esempio: da trentasei anni “faccio” i film di Woody Allen, che risultano intraducibili se presi alla lettera. Il suo è un inglese molto “Manhattan”, molto “yiddish”, con un umorismo particolare ma tuttavia vicino al sarcasmo ed al cinismo del romanesco. Da buona romana non posso che tradurlo in primis nel mio dialetto: poi si pone però il problema di renderlo infine in italiano.

Quanto dura il Suo lavoro su di un copione?

Nonostante si tratti di un bel po’ di lavoro, i tempi che ci danno sono sempre strettissimi e questo è uno svantaggio anche in sala per i direttori di doppiaggio che spesso devono accontentarsi del “buona la prima”. Io fortunatamente sono molto rapida e concentrata, quindi nel giro di una settimana, massimo dieci giorni, riesco a “fare” un film. Certo è che quando ti capita ‘Irishman’ di Scorsese (che dura quattro ore e cinquantacinque minuti), di settimane ce ne vogliono due.

Come è iniziata la Sua carriera?

Non ho fatto studi settoriali. Questo è di base un lavoro per scrittori, quindi la cosa più importante è sicuramente saper scrivere e saperlo fare in un modo molto particolare: ci sono sceneggiatori bravissimi, che non sarebbero tuttavia in grado di fare il lavoro di un dialoghista. Questo per dire che saper scrivere bene non basta. Da giovane lavoravo negli uffici stampa, poi decisi di trasferirmi a New York, dove rimasi quasi dieci anni. Quando tornai un vecchio amico mi suggerì di provare questo mestiere e fu così che iniziai. Ero una di quelle che a scuola era brava in italiano e che veniva puntualmente bocciata in matematica, con la quale ho tutt’ora un pessimo rapporto! Ho iniziato a lavorare con i dialoghi all’età di quarant’anni: prima con documentari e cartoni animati, poi con telefilm ed infine con i film. Pensi che quando chiesi di poter fare il mio primo film mi venne risposto che quelli li facevano solo gli uomini! Questo accadeva nel 1985, praticamente in pieno Medioevo…

Elettra ci racconta infine, sorridendo e sospirando, l’aneddoto che la condusse a diventare la dialoghista italiana ufficiale di Martin Scorsese:

Nel 2000 il regista statunitense veniva a Roma per girare ‘Gangs of New York’. Decisi di scrivergli una mail in cui riportavo tutti i film ai quali avevo lavorato, dicendogli poi che avrei voluto lavorare anche al suo e chiedendogli infine di perdonare la mia «chutzpah» (modo per dire “faccia tosta” spesso utilizzato da Woody Allen). Inaspettatamente, ricevetti subito risposta. Scorsese, oltre ad accettare la mia proposta, mi scriveva una profonda verità: la faccia tosta, ripaga sempre!

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