Il mistero del Passo Dyatlov

Il 23 gennaio del 1959 dieci escursionisti russi si incamminavano per una spedizione dalla quale non sarebbero mai più tornati. Un’avventura alpinistica, la loro, sventuratamente terminata sul pendio innevato del Kholat Syakhl (la “montagna dei morti”).

Del gruppo di partecipanti, guidato dal ventitreenne Igor Dyatlov, rientrò a casa un solo componente, il quale dovette abbandonare prematuramente (e fortunatamente) l’escursione per via di problemi articolari. Dei sette uomini e delle due donne rimaste sui monti Urali, non si ebbero più notizie. Qualche settimana più tardi, nel febbraio del medesimo anno, presero quindi avvio le ricerche. Gli investigatori, di lì a poco, ritrovarono coperta dalla neve la tenda nella quale i giovani si erano accampati, che era stata inspiegabilmente tagliata dall’interno.

Nei mesi successivi vennero ritrovati i corpi dei giovani: le salme, incomprensibilmente seminude, presentavano particolari fratture a cranio e torace, troppo inusuali per essere ricondotte ad un «incidente da valanga». Il caso, dopo non molto tempo, venne chiuso con una sentenza non del tutto esaustiva: una tragedia, quella, causata da «misteriose forze naturali». Un vero e proprio cold case, che negli anni ha ispirato le più disparate teorie, tra le quali spiccava il racconto di uno spaventoso “yeti” che si aggirava sugli Urali.

Nel 2019 la tragedia del Passo Dyatlov ha attirato l’attenzione anche di Alexander Puzrin, ingegnere geotecnico presso l’ETH di Zurigo e di Johan Gaume, responsabile dello Snow Avalanche Simulation Laboratory di Losanna. I due, partendo dalla teoria al tempo scartata di una possibile valanga, hanno lavorato alla creazione di modelli analitici e simulazioni al computer, nel tentativo di riprodurre gli sfortunati avvenimenti. Sebbene tale teoria fosse stata al tempo esclusa, i due svizzeri hanno ritenuto che tale possibilità giocasse un ruolo chiave nella risoluzione dell’enigma, dimostrando che quello che non sembrava un pedio abbastanza inclinato per causare una valanga, lo era più che sufficientemente: la topografia ondeggiante del Kholat Saykhl aveva infatti sciaguratamente ingannato gli investigatori dell’epoca. Lo scavo che gli escursionisti fecero nella neve per montare la tenda aveva per l’appunto destabilizzato la zona, sulla quale si era poi andato a depositare un ulteriore strato di neve, trasportato da forti venti catabatici. Le simulazioni virtuali hanno stabilito inoltre che la valanga che ne derivò sarebbe stata di cinque metri scarsi di lunghezza: ridotte dimensioni, compattezza e rapidità di discesa spiegano infine le gravi lesioni riportate dalle vittime.

Il fatto che alcuni membri del team fossero stati trovati svestiti permane tuttavia ancora oggi un inspiegabile mistero. Probabilmente, quello del Passo di Dyatlov è destinato a rimanere per sempre (seppur solo in parte) un enigmatico caso insoluto.

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lunedì 10 Febbraio 2025