Giovani e lavoro: Tommaso, l’agricoltura tra lavoro e impegno sociale

Abbiamo intervistato Tommaso Manfrini, 29 anni, comproprietario dell’azienda agricola Mangiotrentino, perito agrario e insegnante presso l’istituto agrario di San Michele all’Adige. Per Tommaso l’agricoltura è prima di tutto una grande passione, coltivata fin da bambino seguendo l’esempio del nonno e del papà. Oggi è anche il centro della sua vita professionale: nel 2015, a 21 anni, ha fondato con un amico e socio Mangiotrentino, l’azienda agricola che vende verdure e ortaggi di stagione, a Km 0, coltivate con metodo biologico. Dalla passione di Tommaso nel 2018 è nato a Rovereto anche qualcosa in più, e quando ne parliamo la sua voce si scalda: un orto sociale  – Orto San Marco-Setàp – , uno spazio di impegno civico animato da eventi di formazione, culturali e didattici. Uno spazio di dialogo cooprogettato insieme a diverse realtà lagarine.

Tommaso, quando e come è nata l’idea di aprire Mangiotrentino?

Mangiotrentino è nata nel 2015 da una collaborazione con un amico e socio, Matteo Fait, ingegnere delle telecomunicazioni con la passione per l’agricoltura. Il centro della nostra attività è l’orticoltura con metodo biologico e la vendita e promozione dei nostri ortaggi.  Quando abbiamo iniziato ci siamo subito resi conto che la nostra era un’azienda piccolina. Non potevamo di certo metterci in competizione con la grande distribuzione, abbiamo rinunciato quindi a vendere i nostri prodotti all’ingrosso. Ci siamo affidati alla vendita diretta online: è nato così un e-commerce. Ci abbiamo creduto molto prima dell’esplosione dell’online durante il covid, e questa scelta si è rivelata vincente. Mangiotrentino.it esiste ancora ed è operativo in tutta la Vallagarina: raccogliamo gli ordini e dedichiamo un giorno a settimana alla consegna della verdura appena colta, cosa che facciamo noi in prima persona.

Si parla spesso di ritorno alla terra, ti chiedo cosa significa per te. Lavoro o vocazione?

Sono una di quelle persone fortunate per cui le due cose coincidono. L’agricoltura è la mia grande passione, una vocazione fin da bambino, e ogni giorno anche quando finisco di lavorare resto volentieri con la testa sul mondo dell’agricoltura. Oggi il ritorno alla terra è anche di moda, per me è di moda da sempre: una tradizione generazionale nata con l’insegnamento della mia famiglia.

La cosa che ti piace di più e la cosa che ti piace di meno dell’essere il “capo” di te stesso. 

La cosa che preferisco di più è la grande autonomia organizzativa: posso provare idee nuove e mettermi in gioco ogni giorno. Non è una cosa da tutti. La cosa che mi piace di meno è l’incertezza. Non tanto del meteo, che pure è una variabile che non può essere trascurata, ma soprattutto del mercato: mi pesa non sapere se i consumatori potranno permettersi di acquistare la nostra verdura anche in futuro. Con il nostro lavoro diamo valore alla qualità del prodotto e oggi chi acquista la nostra verdura sposa questa scelta, ma non possiamo escludere il rischio di non venire più compresi.

Quando e perché è nata l’idea di creare un orto urbano che fosse anche spazio di condivisione?

L’idea di creare un Urban farm in città mi è venuta nel 2018, cercavo un’occasione per vivere il mio lavoro da un altro punto di vista. Nella mia testa c’era l’idea di dare concretezza non solo alla coltivazione e alla vendita, ma di trovare la via per dare all’agricoltura anche il valore sociale che merita. Volevo ampliare i confini commerciali per valorizzare il territorio ed educare. Nel 2020 è uscito il bando del Comune di Rovereto per l’assegnazione di un terreno il cui fine era la riqualificazione urbana e agricola, con l’obiettivo di restituirlo alla popolazione attraverso una collaborazione pubblico-privata. Lo abbiamo vinto con la nostra idea di creare un luogo di ritrovo, di scambio, uno spazio condiviso e aperto. Con l’attività profit ci siamo impegnati a coltivare il terreno, dando spazio però anche alle attività didattica e pedagogiche, agli eventi culturali e musicali, ai dibattiti. Nei fatti le attività culturali, che sono portate avanti con molti partner, sono poco remunerative: se andiamo in pari siamo soddisfatti, ma sono la sostanza del progetto e va benissimo così.

A cosa pensi quando vedi Orto Setàp animato da persone?

Mi viene da sorridere, provo un senso di gioia perché non credevo fosse possibile fare una cosa così in grande. E penso: ok è possibile. Una passione del passato come la mia, quasi una cosa d’altri tempi, può dare soddisfazione. L’orto è il mio gioco, il mio piccolo laboratorio e mi conferma che l’agricoltura è inclusiva a tutti i livelli e sa fare da collante: dal gruppo anziani al Museo Civico di Rovereto, dal tribunale di Trento alla cooperativa sociale. La condivisione è il senso del mio lavoro, e qui trova spazio.

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martedì 10 Settembre 2024