Fashion, sempre. Fast, mai.
Cos’è la fast fashion? Una specie di malattia culturale, forse, ma che di certo non si trova tra le voci dei manuali di medicina. Si tratta, in poche parole, di moda veloce, compulsiva, una moda “usa e getta”. La fast fashion è infatti quel fenomeno che, oggi più che mai, asseconda e attizza il nostro bisogno di capi sempre nuovi, alla moda e, il più delle volte, a basso prezzo. Che il fugace e irresistibile acquisto avvenga tra le mura di un negozio o online, poco cambia. E poco cambia anche se il capo in questione, vista la probabile scarsa qualità delle materie prime con cui è stato realizzato, si disintegrerà al terzo lavaggio: per allora ne avremo già acquistato un altro.
Sembra figlia del nostro tempo questa fast fashion, che così ben si conforma alle giornate frenetiche che viviamo, ai nostri interessi così mutevoli, al nostro bisogno di continui stimoli per sentirci vivi. In realtà, la fast fashion crea e nutre questa fame bulimica di vestiario fin dagli anni ’80, raggiungendo l’apice negli anni 2000, quando il fenomeno esplode. Le aziende di moda iniziano a proporre un numero altissimo di produzioni a basso costo, le cosiddette “collezioni flash”, che grazie alla loro velocità – anche una a settimana – permettono di intercettare alla perfezione i mood dell’ultimo minuto. Insomma, tanti cari saluti alle tradizionali due collezioni all’anno (primavera/estate e autunno/inverno), oramai preistoria. E se fino a ieri acquistare un capo d’abbigliamento era un evento da ben ponderare, un investimento che prevedeva l’analisi di costi e benefici nel tempo, oggi i prezzi stracciati sembrano rendere superfluo ogni freno all’acquisto.
E così la maggior parte dei nostri guardaroba rigurgita capi di cui a stento conosciamo l’esistenza, indossati una volta, forse mai, e che in ogni caso non avremo il tempo materiale di “frequentare” vista la loro breve vita. Allungare il braccio e afferrare una maglietta dall’armadio è diventato un gesto più lento e faticoso di acquistarne una nuova, magari uguale a quella vista cinque minuti fa nel post del tal influencer. “Acquisto compulsivo, roba che non serve ma voglio per primo, per fare il figo” cantava Rovazzi un paio d’anni fa, e aveva ragione. Ma non è tutto. Una ricerca apparsa su Nature Reviews Earth & Environment ci racconta che con 4.000-5.000 milioni di tonnellate ci CO2 rilasciate ogni anno nell’atmosfera, l’industria della moda è responsabile di circa l’8-10% delle emissioni globali. Con le sue 190.000 tonnellate, è la causa di oltre un terzo delle microplastiche accumulate negli oceani. Concorre per il 20% alla contaminazione industriale dell’acqua del pianeta e, tra una collezione e l’altra, produce più di 92.000 tonnellate annue di rifiuti tessili. Per non parlare della produzione delocalizzata in Paesi dove il costo del lavoro è molto basso e dove calpestare i diritti dei lavoratori è la norma, altro triste, tristissimo capitolo che da solo dovrebbe bastare a renderci odiosi questo tipo di acquisti.
Veniamo a noi quindi. Cosa possiamo fare per frenare tutto questo? Come possiamo resistere alle lusinghe della fast fashion? La risposta è semplice, in realtà: fermiamoci, respiriamo. Non abbiamo bisogno della maggior parte dei vestiti che acquistiamo, spesso comprati esclusivamente nell’impeto di un momento e che altrettanto spesso non ci stanno nemmeno bene e finiranno abbandonati negli infiniti recessi del nostro armadio. La prossima volta che entreremo in un grande magazzino, irto di tentazioni colorate ed economiche, chiediamoci se abbiamo davvero bisogno di quanto vediamo attorno a noi e se forse nel nostro guardaroba abbiamo già capi simili che possono svolgere la stessa funzione. La risposta è sì? Bene, dietro front e avanti march.
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mercoledì 22 Gennaio 2025