Due cose che non capirò mai
Ci sono alcune cose – due, in particolare – che non capisco e che, probabilmente, non capirò mai. Ho fatto pace con me stesso e con la mia ignoranza, la quale quindi non mi ferisce più come un tempo. Tuttavia intendo scriverne comunque, vuoi mai che ci sia un lettore o una lettrice più addentro ai misteri di questo mondo in grado di schiudere quei misteri anche a me. Se così non fosse, forse scriverne aiuterà a sentirmi un po’ meno solo.
Ricordate il cartello giallo con su scritto “ZONA MILITARE – LIMITE INVALICABILE”? Non ci ho mai fatto troppo caso fino a qualche mese fa: è talmente comune vedere un commissariato di polizia o una centrale dei carabinieri nei nostri paesi e nelle nostre città che ormai non li noti nemmeno. Poi, appunto qualche mese fa, l’illuminazione. O, meglio, l’atroce dubbio: perché diavolo c’è scritto “LIMITE INVALICABILE”? Mi spiego. Nei cantieri o nei musei o, in generale, in tutti quei luoghi in cui l’autorità vuole vietare l’accesso del pubblico i cartelli recitano: “VIETATO L’INGRESSO” o, in alternativa, “VIETATO L’ACCESSO”. Perché nelle zone militari l’ingresso non è “vietato”, ma “invalicabile”? Qual è il discrimine? “Vietato” è più chiaro, immediato, perfino perentorio: si addice quindi al modo di fare proprio delle forze dell’ordine. Dal canto suo, “invalicabile” ha un non so che di sfumato, quasi sfuggente. “Invalicabile” è un passo alpino magari chiuso d’inverno a causa della neve, no? Insomma, questo interrogativo ha corroso il mio sonno per alcune notti. Poi, come spesso capita, la vita va avanti, di cose a cui pensare (molto più serie) ce ne sono sempre e il dubbio è stato archiviato in un cassetto del mio cervello e lì dimenticato.
Fino a qualche giorno fa, quando un incontro ravvicinato con un poliziotto mi ha riportato alla mente l’annoso quesito. Ho pensato di sfruttare l’occasione, mi sono avvicinato e ho domandato all’agente il perché di quello strano aggettivo. Mi ha squadrato prima di rispondere, quasi volesse saggiare la mia serietà. Si è passato una mano sui capelli radi, tergendosi il sudore dalla fronte con l’ausilio di un fazzoletto di stoffa, di quelli che non vedi quasi più in giro. Poi la brusca risposta: «Circolare!». In che senso “circolare”? Il verbo mi ha sferzato con prepotenza, spedendomi in un abisso pieno di drammatici punti di domanda. Perché “circolare”? Perché non ordinare un “allontanarsi” o anche un più terra terra “fuori dai piedi”? Ma “circolare” non ha proprio senso. Fossi nei pressi di una rotatoria, capirei. Ma altrimenti che cosa dovrei fare “circolando”? Allontanarmi con un girotondo? In poche parole – l’avrete capito – ora sono due gli interrogativi che corrodono il mio sonno. Spero che qualche lettore o qualche lettrice più addentro alle cose di questo mondo possa risolverli.
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giovedì 19 Settembre 2024