Dove c’è Barilla, c’è casa

Non mi sono mai inginocchiato alla “religione delle radici”. Per capirci, ho sempre trovato particolarmente azzeccato il motto della Barilla, “Dove c’è Barilla, c’è casa”. Non perché io abbia un feticismo per la pastasciutta, ma perché traslato secondo la mia sensibilità e la mia esperienza (che poi sono la stessa cosa, dal momento che una informa l’altra e viceversa) quel motto mi suona vero, autentico. Non ho mai riconosciuto le mie radici in un luogo fisico. Sono nato e cresciuto nel cuore della Pianura Padana, a pochi chilometri da dove il fiume Po si getta nel mare: il mitologico e nebbioso Alto Polesine.

Terra che – pur conservando qualche perla nascosta – ho sempre trovato arida e priva di attrattive paesaggistiche, culturali e via dicendo. Poco importa se l’Alto Polesine è il luogo in cui sono cresciuto, in cui ho fatto le prime esperienze e in cui vive ancora oggi la mia famiglia. Poco importa perché sono fermamente convinto che “Dove c’è Barilla, c’è casa” e non viceversa. Vale a dire: sono gli affetti che animano un luogo e che contribuiscono a creare quel senso magico di “casa”. Cambia se questa magia avviene in Alto Polesine, nel Missouri, a Port-Au-Prince o nel Gabon? Forse sì, ma per la mia esperienza sono portato a sostenere piuttosto il contrario. “Dove c’è Barilla, c’è casa”, appunto. E non viceversa.

Eppure, arrivato ormai alla soglia dei 30 anni, mi trovo sempre più spesso a desiderare di mettere radici da qualche parte. Ho trascorso gli ultimi dieci anni di vita ramingo in diverse zone del Trentino, del Piemonte, della Toscana e del Veneto e – per citare Forrest Gump – inizio a essere un po’ stanchino. Traslocare è divertente a vent’anni: vuoi vivere libero e senza freni, vuoi fare esperienza, non ci pensi proprio per niente a piantare le tende da qualche parte. A venticinque è una sfida che presenta le prime difficoltà. A trent’anni è un dramma. Perché, per quanto minimalisti si possa essere, il bagaglio non metaforico che porti con te si fa sempre più ingombrante. Perché, per quanto spensierati si possa essere, la necessità di iniziare a costruire il futuro è più impellente. Ma anche perché è fisiologico desiderare, più si va avanti con gli anni, qualche punto fermo nella propria vita, qualcosa di saldo e di sicuro.

E qui sono dolori perché mi sono scontrato con la dura realtà delle cose. Con una società tutt’altro che liquida, ma in cui tutto si muove – quando si muove – con estrema lentezza, tanto più se sei giovane. Con un mercato del lavoro che d’altro canto è estremamente volatile, tanto più se sei giovane. Con affitti spropositati (dico affitti, perché di accendere un mutuo meglio non parlarne nemmeno) e con un costo della vita che aumenta sempre di più a fronte di una sostanziale stagnazione degli stipendi. Sto provando a mettere radici da qualche parte, certo, ma rischio di rimanere con solo il vento tra le mani.

E un piatto di pastasciutta, quella non manca mai.

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sabato 27 Luglio 2024