Dieta vegetariana. Perché?
Sono vegetariana da quasi tre anni. Se c’è una cosa che ho capito in questo breve ma intenso periodo è che il luogo comune “i vegetariani sono talebani che importunano il prossimo per imporre le proprie idee” è, come quasi tutti i luoghi comuni, lontano dalla realtà. Per carità, gli estremi esistono sempre in ogni dove e la comunità vegetariana non fa certo eccezione, ma nel mio caso è capitato quasi sempre il contrario. Mi spiego meglio: se avessi ricevuto una somma in denaro per ogni volta che la mia scelta è stata derisa o contestata, a quest’ora non starei scrivendo un articolo; starei sonnecchiando placidamente su uno yacht extralusso.
Viviamo in una società – quella italiana in particolare – che considera ancora la carne come un alimento imprescindibile nella dieta, al punto tale che non mangiarla è sinonimo o di debolezza o di altezzosità; nel primo caso, perché la carne è tradizionalmente associata alla forza fisica (il vero maschio è tale solo se mangia braciole alla griglia, no?), nel secondo perché “vegetariano” sa di radical chic (sì, c’è ancora chi dice radical chic) che vuole distinguersi dal volgo. Riconoscere la validità o meno di queste argomentazioni spetta alla propria intelligenza e, in parte, al contesto socio-culturale in cui si è cresciuti. Dal mio punto di vista basterebbe rispettare le scelte alimentari altrui preoccupandosi solo di essere consapevoli delle proprie, ma una prospettiva del genere di questi tempi è pura utopia, me ne rendo conto.
Purtroppo l’informazione – l’informazione in generale, ma quella che riguarda l’alimentazione ancora di più – è a dir poco trascurata e si tende a credere a luoghi comuni o a leggende metropolitane piuttosto che alla scienza. Sebbene il motivo principale per cui ho scelto la dieta vegetariana sia di natura etica («Come può la vista sopportare / l’uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi / Non ripugna il gusto berne gli umori e il sangue / le carni agli spiedi crude / E c’era come un suono di vacche / non è mostruoso desiderare di cibarsi / di un essere che ancora emette suoni?», cantava Franco Battiato in Sarcofagia), in realtà concorrono alla decisione anche motivazioni relative all’ambiente e alla salute.
L’impatto ambientale dell’industria della carne infatti è molteplice. L’83% dei terreni agricoli globali è occupato dal bestiame e dal grano consumato per nutrirlo, espansione che contribuisce in maniera drammatica alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Considerando poi solo la quantità di acqua prelevata per il bestiame, l’impronta idrica di un chilo di carne bovina oscillerebbe tra gli 800 e i 5.000 litri di acqua. Inoltre, la produzione di carne emette la stessa quantità di gas serra in un anno di tutte le auto, camion e aerei del mondo. E questi sono solo alcuni dei problemi legati alla produzione – soprattutto intensiva – di carne, cui si aggiungono peraltro quelli inerenti al rischio di cancro.
A chi volesse avvicinarsi a questo tipo di dieta (che è sì una scelta di vita, ma non per questo una setta) consiglio Perché sono vegetariana della grande scienziata Margherita Hack: il suo punto di vista è sicuramente più valido del mio.
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giovedì 19 Settembre 2024