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Co.Scienza Festival: teorie del complotto e bias cognitivi

Nell’ambito del Co.Scienza Festival 2023 – rassegna di eventi incentrati sulla scienza e la divulgazione, organizzata dall’associazione universitaria Unitin in collaborazione con Open Wet Lab – si è svolto, venerdì 21 aprile, l’incontro dal titolo La psicologia delle teoria del complotto. Il ruolo dei bias cognitivi tenuto da Lorenzo Gagliardi, dottorando presso l’Università dell’Insubria e divulgatore con la pagina Instagram Non è la zebra.

Il relatore è partito dalla definizione di complotto per l’enciclopedia Treccani – “un’unione segreta di persone che si accordano per conseguire uno scopo comune” – dalla quale si evince che di complotti ne esistono e ne sono esistiti di diversi: l’uccisione di Giulio Cesare è derivata da un complotto, la mafia è un complotto. Tuttavia, anche il COVID-19 viene definito un complotto per ridurre la popolazione. Qual è, dunque, la differenza? Mentre i primi esempi sono ipotesi vere e proprie di cospirazione e/o azioni derivate da esse, l’ultima è una teoria del complotto poiché risulta non verificata e implausibile.

La mancata verificabilità e l’implausibilità sono due delle caratteristiche delle teorie del complotto, come ha spiegato Gagliardi, alle quali si aggiungono l’essere infalsificabili e l’implicazione dell’intenzionalità di qualcuno. Per comprendere meglio, basta pensare al fatto che è impossibile trovare qualsiasi prova contraria al complotto senza che diventi parte di esso e, allo stesso tempo, da ogni teoria del complotto emerge la volontà (spesso malvagia) di qualcuno (esempio: il Covid creato in laboratorio).

Viene dunque spontaneo chiedersi “perché le persone credono a queste teorie?”. In primo luogo, per motivi epistemici, ossia per la mancanza di controllo su ciò che succede che porta a credere in qualche disegno più grande; poi, per motivi esistenziali, ossia per una radicata mancanza di fiducia, soprattutto nelle istituzioni; infine, per motivi sociali che portano ad attribuire le colpe necessariamente a qualcuno.

Il fulcro della mentalità complottista, come ha approfondito il relatore, si riscontra nel fatto che se si crede a una teoria di queste, si crede a tutte e si entra nell’insieme di credenze coese che si autoalimentano, anche nel caso si contraddicano. Ciò avviene poiché si mette in moto la cosiddetta apofenia, ossia la tendenza a vedere nessi causali e intenzioni in eventi che nella realtà sono randomici. È un meccanismo molto più comune di quanto si possa pensare: è lo stesso che si attiva in chi crede all’oroscopo e al paranormale.

Qui entrano in gioco i cosiddetti bias cognitivi, ossia dei meccanismi cognitivi fallaci, degli errori sistemici che la nostra mentre compie quando scegliamo e/o ci comportiamo in una determinata maniera. I bias che favoriscono il complottismo sono in particolare tre. Il primo è il bias di proporzionalità, ossia la tendenza a credere che i grandi eventi abbiano cause altrettanto grandi; il secondo è il bias di congiunzione, che si riscontra nella tendenza a credere che gli eventi che avvengono insieme in termini di tempo o di spazio siano necessariamente legati da un nesso causale; infine, il bias di conferma, ossia la tendenza a cercare prove che confermino il nostro pensiero e a scartare quelle che lo contraddicano.

L’incontro si è poi concluso con un accenno alle teorie del complotto utilizzate come armi politiche. Esse, infatti, sono sempre manichee, ossia si basano sulla contrapposizione tra buoni e cattivi. Pertanto, possono essere facilmente inserite nei discorsi politici che tendono a sottolineare gli errori nei ragionamenti altrui e, dunque, a screditare gli avversari. Su questa base esistono due tipi di complotti: quelli verso l’alto, che danno la colpa a governi, istituzioni e industrie; quelli verso il basso, che colpevolizzano le minoranze

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domenica 28 Maggio 2023