Cambiamento, un’utopia?
Immaginate un’isola dove tutti i cittadini possono coltivare la terra. Dove si lavora solo 6 ore al giorno. Dove il tempo libero è importante. Dove si studiano scienza e filosofia. Dove la famiglia rappresenta il nucleo centrale della società. Dove si può esercitare qualsiasi credo religioso. Dove tutti hanno diritto alla pace e alla serenità. Dove l’unico scopo è il benessere. È l’isola che non c’è? No, è Utopia, il paese ideale pensato da Tommaso Moro nel 1561. Egli fu il primo a coniare questo termine, dall’unione dei vocaboli greci οὐ «non» e τόπος «luogo». Utopia indica quindi un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale. Può rappresentare un modello irrealizzabile ed astratto, oppure una forma di rinnovamento sociale a cui tendere.
Nonostante la comparsa di questa locuzione sia avvenuta solo in tempi relativamente recenti, il pensiero utopico rappresenta un tema ricorrente nella storia dell’uomo. Non stupisce scoprire che già nell’Antica Grecia Platone avesse immaginato un sistema politico utopico nella sua celebre opera La Repubblica. Durante il Medioevo questo concetto venne invece messo da parte per poi risorgere e raggiungere il suo massimo splendore nel Rinascimento, soprattutto nella progettazione delle città ideali, il cui assetto urbano fortemente geometrizzato doveva riflettere i principi di razionalità e funzionalismo. È proprio in ambito urbanistico che il concetto di utopia vede la sua presenza più costante e duratura nel tempo. Da sempre chi si cimenta nella progettazione a livello cittadino tende infatti a ricercare delle forme di perfezione, siano esse geometriche o sociali. In epoca moderna l’architetto statunitense Frank Lloyd Wright progettò Broadacre City, una città estesa in forte contrasto con la densità costruttiva tipica delle metropoli americane. Queste sarebbero rimaste solo come grandi poli lavorativi raggiungibili in automobile. Tutta la vita socio-culturale e aggregativa si sarebbe invece svolta all’esterno, a contatto con la natura. Le relazioni interpersonali affidate ai moderni sistemi di telecomunicazione. Zone residenziali, agricole e produttive disposte liberamente all’interno dei lotti, in un modello a bassa densità abitativa.
Negli ultimi anni si parla molto di Green City e Smart City, modelli di città sostenibile pensati per far fronte all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Vogliamo davvero che restino solo delle utopie? Come si può evincere dalla molteplice letteratura e filmografia recente, il tempo in cui viviamo, intriso di instabilità, precarietà e pessimismo, ci spinge verso una visione distopica, più che utopica, del futuro. Eppure riusciamo ancora a pensare a realtà verdi, ricche di ossigeno, di convivialità e di tecnologia sostenibile. Che ci sia rimasto ancora un po’ di ottimismo, la speranza in un futuro migliore? Che ci sia rimasta ancora un po’ di fiducia nel cambiamento? In fondo se possiamo pensare queste città, possiamo anche realizzarle. Dipende solo da noi far sì che non restino una mera utopia.
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venerdì 7 Febbraio 2025