Auguri e figli maschi!

Se per ogni volta che la frase «Auguri e figli maschi!» è stata pronunciata, tale affermazione si fosse realmente concretizzata, la specie umana si sarebbe già probabilmente da tempo estinta. Fortunatamente tale augurio, che in passato si configurava come vera e propria usanza durante i matrimoni, è diventato una frase che si sente dire sempre meno di frequente.

La nascita di tale affermazione ha probabilmente a che vedere anzitutto con il fatto che un tempo (e spesso anche tutt’oggi) era consuetudine fosse l’uomo a portare avanti il cognome di famiglia. In secondo luogo, i maschi erano visti come risorse a livello lavorativo in una società in cui si coltivava la terra senza l’ausilio di grandi macchinari e si riteneva che lavorare nei campi fosse un impiego propriamente «da uomini».

Avere figli di sesso maschile assicurava quindi non soltanto maggiori introiti economici ma anche la resistenza negli anni del nome ereditato dai propri avi, da passare, come un vero e proprio testimone, ai posteri. Tali motivazioni sono figlie, come d’altronde il detto stesso, d’una società profondamente maschilista, che spesso si è dimenticata del fatto che senza le figure femminili sarebbe stato impossibile (in primis, ma non solo) ottenere la tanto augurata prole.

Questo, è purtroppo solo uno degli innumerevoli proverbi sessisti che fanno parte della storia dei detti della lingua italiana e che spesso faticano, giacché ben radicati, ad abbandonare le conversazioni di tutti i giorni. Espressioni come «Donna al volante pericolo costante» o «Chi dice donna dice danno» non fanno altro che contribuire al rafforzamento della figura del “maschio alfa”, che inevitabilmente si contrappone ad una femminile ritenuta “goffa” e “debole”.

«È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano un luogo comune, un luogo comune un po’ equivoco che poi a guardar bene è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione», ha scritto il giornalista ed enigmista Stefano Bartezzaghi in un monologo recitato da Paola Cortellesi: «Vi faccio degli esempi: un cortigiano, un massaggiatore, un uomo di strada o un gatto morto».

«Grazie, Bartezzaghi, per aver scritto questo elenco di ingiustizie. Io, che sono donna, le sento da tutta la vita, ma non me ero mai accorta. Non voglio fare la donna che si lamenta e che recrimina, però anche nel lessico noi donne un po’ discriminate lo siamo.[…] Per fortuna sono soltanto parole», ha affermato ironicamente Cortellesi durante la cerimonia dedicata al David di Donatello 2018, facendo riflettere sullo spaventoso potere discriminatorio del lessico.

«Certo, se le parole fossero la traduzione dei pensieri, allora sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo fin da piccoli. […] Se fosse così potrebbe anche diventare pericoloso. Una donna adulta, o anche giovanissima, potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dall’uomo che l’ama. Uno che l’ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua, e quindi può farne quello che vuole. Per fortuna, sono soltanto parole!».

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mercoledì 13 Novembre 2024