Adottare un cane? Sì, ma che sia una scelta razionale

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Sui social è un tam tam continuo. Foto di cuccioli, ma anche di cani adulti o anziani, accompagnati da appelli sull’urgenza di un’adozione. La tentazione è forte… “Lo prendo io!”, viene da dire, in un impeto di amore sincero verso la bestiola ritratta in foto. Ma è davvero la scelta giusta? O forse, invece, ci sono molti altri aspetti da tenere in considerazione, oltre a quello emotivo, prima di decidere di adottare un cane? Domanda puramente retorica, che approfondiamo con l’aiuto di Stefano Margheri, educatore e istruttore cinofilo di grande esperienza.
Stefano, quali sono gli errori che si commettono più comunemente nella scelta di prendere un cane?
«Oltre al rischio che l’aspetto emotivo prenda il sopravvento su tutto il resto, alcuni errori sono figli del nostro tempo e sono legati a moda ed estetica. Per moda intendo dire che, a livello mediatico, si creano proprio le mode delle razze a tutti i costi o, al contrario, delle non razze a tutti costi. Attualmente c’è la moda prevalente del “Io ti salverò”, della necessità di salvare tutti i cani di questo mondo, che è giusto da una parte, ma solo se viene fatto ragionando, con razionalità e non in maniera esclusivamente emotiva. Allo stesso modo, oggi i cani di razza vengono acquistati per il loro aspetto morfologico, per il loro richiamo estetico d’impatto, senza approfondire in alcun modo le caratteristiche della razza che inevitabilmente andranno poi ad emergere».
In che modo cerchi di dare consiglio a chi si rivolge a te con questo desiderio?
«Consiglio di adottare quella che io chiamo “la regola dello specchio”. Chiedo sempre al potenziale proprietario o alla famiglia di guardarsi allo specchio e di rispondersi sinceramente ad alcune domande. Quali sono le nostre disponibilità di tempo? Quali le disponibilità qualitative in termini di energia e attenzione? Quale può essere il patto all’interno della famiglia affinché tutte le persone vengano coinvolte? Infine, è importante valutare quali sono le competenze pregresse, perché certe razze o certi cani in generale, come dicevo prima, possono andare bene per alcuni e non per altri. Con tutto il rispetto del paragone che sto facendo, tutti noi possiamo guidare certe macchine e non altre. Per quanto si stia parlando, in questo caso, di macchine biologiche, inevitabilmente il ragionamento è lo stesso. A fronte di tutte queste risposte, si riesce a ridurre la probabilità di errori nelle adozioni in senso lato, ossia cani che entrano a far parte di un nucleo famigliare. Questo è il primo passo verso la direzione giusta».
E se questo passaggio di consapevolezza preventivo viene saltato a piè pari, come immagino spesso accada, quali sono i rischi?
«Le due più grandi forme di maltrattamento nei confronti di un cane sono l’assenza dell’educazione che gli permette di adattarsi all’ambiente che lo circonda e l’inserimento in un contesto sociale inadatto alle sue caratteristiche filogenetiche e biografiche. C’è poi la terza forma di maltrattamento che è il non soddisfacimento psicofisico quotidiano. Questi sono tre aspetti poco considerati che invece sono il presupposto per poi passare dei guai. Prevenzione, educazione e compatibilità sociale sono i tre elementi sui quali io punto e spingo tantissimo a riflettere, anche andando contro a interessi puramente economici che ovviamente portano a legittimare certe scelte da parte di chi vende i cani o da parte di chi vuol trovare loro una casa a tutti i costi».
In allevamenti e canili vengono fatti ragionamenti di questo tipo con gli acquirenti o le persone che desiderano adottare?
«Bisogna considerare caso per caso. Ci sono allevatori molto seri, con grandi competenze e grande attenzione alla salute psicofisica, che fanno una selezione a priori dei proprietari molto rigorosa – puntando al benessere del cane, innanzitutto – e solo a fronte di una serie di garanzie consentono la cessione del cucciolo. Allo stesso modo ci sono volontari con una buona competenza e con una grande attenzione. Tuttavia, contemporaneamente, c’è purtroppo un sottobosco di allevatori, o anche di meccanismi di trasferimento dei cani da una parte all’altra della penisola, che tengono poco conto di queste condizioni fondamentali. Quando questo succede, purtroppo è il presupposto di una serie di effetti a catena altamente negativi dove le vittime finali sono famiglia e cane. C’è ancora bisogno di fare tanta cultura cinofila nel nostro Paese».
Stefano Margheri, educatore ed istruttore cinofilo, nel suo centro “Dagli occhi di Mia” a San Rocco di Villazzano (Trento) offre corsi di educazione di base e avanzata, attività sportive e di rieducazione per i disturbi del comportamento. La sua passione per l’approfondimento scientifico e la sua esperienza trentennale sul campo ne fanno un punto di riferimento per tutti coloro – neofiti o aspiranti professionisti del settore – che desiderano comprendere meglio il proprio cane e approfondire i segreti del suo affascinante rapporto interspecifico con l’uomo.
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mercoledì 12 Febbraio 2025