Kendrick è tornato: Auntie Diaries ha “spaccato” la LGBT community

Il rapper Kendrick Lamar si era preso una pausa di cinque anni, portando via con sé un premio Pulitzer, per quello che era stato il suo ultimo lavoro: l’album DAMN gli era valso un traguardo che nessuno nel mondo dell’hip hop era mai riuscito a tagliare. Il sipario è tornato ad alzarsi con Mr Morale & the Big Steppers, il suo nuovo progetto.

Considerando il tempo trascorso tra i due dischi, è ovvio che le aspettative da parte dei fan fossero altissime, ma K-Dot sembra aver seguito il copione alla lettera: fuori il disco, primo posto in Top 200 Billboard, plauso del pubblico e la conferma come uno degli scrittori più riusciti nella scena musicale US, anche grazie alla sua abilità di inquadrare come pochi la cronaca quotidiana.

L’ultimo progetto musicale del cantante di Compton è infatti fortemente radicato nei suoi trascorsi, ovvero quello che ha vissuto e che molti altri – nella sua stessa condizione dei tempi – hanno dovuto vivere. Lui è al centro del mosaico composto dalle varie tracce, che nel complesso riescono a delineare un’immagine molto decisa del suo modo di essere, nel bene e nel male.

Il realismo messo in gioco è crudo, fin troppo: è stato questo il “problema”, o per meglio dire lo starting point da cui è nata la querelle capace di accendere un dibattito nella comunità LGBT. La sesta traccia del disco, il brano Auntie Diaries, ostenta quel realismo, trattando però un argomento molto delicato come la transfobia. Nel testo, Kendrick racconta la sua vicinanza alla zia che negli anni ha realizzato di essere una donna transgender, ma nel suo raccontare viene spesso usato il deadname della auntie – ovvero il nome usato prima della transizione – e si riferisce comunque a lei usando il pronome maschile in varie strofe.

Tra gli esponenti della community molti si sono detti contrariati o confusi, proprio come Raquel Willis – attivista transgender ed ex direttrice del magazine Out – che ai microfoni della NPR ha rilasciato delle dichiarazioni al riguardo: “È comprensibile il voler fare i conti con omofobia e transfobia all’interno della Black Community, ma il modo in cui avviene risulta confuso. Sarei rimasta più colpita se si fosse parlato dell’epidemia di uomini neri cisgender che uccidono donne transgender nere, o se si fosse parlato delle numerose leggi che in giro per il paese – gli Stati Uniti – stanno limitando i diritti delle persone transgender. Dobbiamo andare oltre la storia del dire-il-nome-giusto, usare-i-pronomi-giusti”.

Sulla stessa lunghezza d’onda c’è stato anche Preston Mitchum – esperto legale e direttore del Travor Project, operativo da tempo per combattere i suicidi nei giovani della comunità LGBT – che si è detto in parte grato a Kendrick, essendo stato il primo a trattare questo tema a livelli così importanti, ma allo stesso tempo è stato critico nei confronti del brano perché “vengono usate parole che non vanno usate, ma alla fine quello è il suo punto”.

La discussione a riguardo è stata – ovviamente – sviluppata anche tramite social, che sono probabilmente il metodo migliore per dire la propria, dando così spazio a chi sta seguendo il proprio percorso di scoperta personale e potrebbe essere in questa situazione toccato direttamente più di molti altri.

Tra i tweet finiti in tendenza c’è appunto quello di una ragazza transgender – @Clohejamescolt – che ha risposto alle numerose critiche sollevate via social contro il rapper: “Sono grata per quanto fatto da Kendrick, in molti nel mondo dell’hip hop preferiscono evitare di raccontare esperienze che riguardano familiari transgender. Va ringraziato per aver trattato con termini tanto duri quanto realistici la nostra realtà. Il fatto che abbia usato un deadname o abbia fatto del misgendering è per rendere l’idea di quanto sia comune per una persona subire un trattamento del genere. Almeno finché non si arriverà alla conclusione ‘che si potrà usare uno slur per una persona transgender quando una ragazza bianca potrà usare la N word’ – come riportato nel testo di Auntie Diaries – ma ovviamente non è concessa a nessuno questa possibilità”.

Una risposta ufficiale da Kendrick non è ancora arrivata, ma sicuramente da parte sua c’è stato un tempismo perfetto nel sollevare il dialogo a riguardo dell’utilizzo dei deadname o del misgendering: negli Stati Uniti, dall’inizio dell’anno, sono stati centinaia i disegni di legge che rischiano di ledere la, già di per sé, precaria condizione delle persone transgender nella società americana.

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mercoledì 30 Aprile 2025