FdS 2025 – Pellegrini e Giunta: il nostro stile libero

“Quando le nostre strade si sono incrociate, arrivavamo da due scuole diverse, ci siamo dovuti incontrare a metà e, una volta trovato l’equilibrio, abbiamo iniziato a vincere. Ad un certo punto ho capito che lo guardavo con altri occhi, ma questa relazione me l’ha fatta sudare perché è una persona serissima”, così la campionessa di nuoto Federica Pellegrini descrive l’incontro, poi diventato idillio, con il marito allenatore Matteo Giunta.
Sei medagli d’oro e cinque finali disputate in altrettante olimpiadi fanno dell’atleta italiana una leggenda assoluta, eppure i momenti di difficoltà non sono mancati lungo il percorso. A partire dalla bulimia sperimentata durante l’adolescenza, quando, lontana da casa, doveva affrontare la fama conquistata con la prima medaglia. “Non è stato facile trovarsi costantemente in costume sotto i riflettori. Nella mia testa era tutto molto logico, poiché mangiavo molto dovevo poi espellerlo velocemente. È stata proprio la passione per lo sport a salvarmi. Quando mi sono resa conto che non rendevo più come avrei dovuto, mi sono data una regolata”.
Proprio per fornire ai giovani una preparazione atletica di alta qualità, ha fondato con il marito la Fede Academy di Livigno, nella quale “si lavora molto duramente ma si è seguiti in tutti gli aspetti connessi alle gare a livello professionistico, soprattutto il supporto psicologico, fondamentale per prevenire che il disagio adolescenziale degeneri in patologie. Il nuoto è uno sport difficile, nel quale la disciplina, la preparazione e la volontà sono fondamentali. In vasca si è da soli contro il cronometro, si soffre ma allo stesso tempo si diventa più forti. La metodologia d’allenamento è progredita rispetto a quando gli allenatori massacravano i propri atleti. La longevità della carriera di Federica sta anche nell’aver saputo evolvere”, spiega Giunta.
La paura di fallire deve infatti trasformarsi in spone per fare sempre meglio. “Nell’ottobre 2008, dopo l’oro olimpico, ebbi un attacco d’asma, di cui non sapevo di soffrire. I polmoni erano compressi al 50% a causa del cloro e delle muffe tipiche della piscina. Da allora iniziai a soffrire di attacchi di panico: rivivevo quel momento tremendo. Matteo ebbe l’intuizione di farmi seguire da uno psicoterapeuta in vasca. In seguito ebbi un incubo in cui mi ritrovavo a gareggiare nei 400 metri stile libero in accappatoio. Con una fatica immensa riuscivo a portare a termine la gara e al mio risveglio sapevo che la terapia aveva dato i suoi frutti”, ricorda la campionessa.
Prosegue poi affrontando un altro tabu dello sport come il peso delle mestruazioni sulla performance di una donna atleta. “Nessuno ne parla mai ma è importante essere regolari. A Rio 2016 ebbi un ritardo che mi portò a gareggiare nel momento peggiore possibile: i cinque giorni prima del ciclo, quando il corpo acquista un chilo. In uno sport come il nuoto, dove il peso conta tantissimo ai fini della resa, fu un disastro e un dolore tremendo”.
Infine l’ultima grande prova è arrivata con la genitorialità, che si è presentata in tutta la sua complessità fin dall’inizio. “Non siamo una famiglia da Mulino Bianco, abbiamo attraversato e abbiamo tuttora molti momenti difficili. A partire dalle complicanze del parto durato 48 ore, alla sperimentazione del baby blues – una condizione di malinconia materna che per fortuna non è sfociata in depressione o rifiuto della bimba -, alla stanchezza e ad alcune incomprensioni di coppia. Ci ha salvato essere dei buoni ascoltatori reciproci, abbiamo imparato che bisogna essere molto uniti per affrontare la genitorialità”.
Foto © Archivio Ufficio stampa Provincia autonoma di Trento – Alessandro Eccel
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domenica 19 Ottobre 2025