The Bear, dove boys do cry

Boys don’t cry è il titolo di una canzone dei Cure e di un film del 1999. Gli uomini, i maschi, non piangono, perché piangere è da femminucce. Quante volte abbiamo sentito o abbiamo perpetuato questa retorica? Quante volte ci siamo nascosti dietro maschere da macho man per nascondere i nostri sentimenti? Perché piangere è da femminucce.

Le cose migliori di The Bear, nella quarta stagione uscita su Disney+ una decina di giorni fa e in generale nell’intera serie televisiva in onda dal 2022, capitano quando gli uomini piangono. O, se non piangono, quando spalancano le proprie interiorità davanti agli occhi di noi spettatori. Lo so: è un’esagerazione. In The Bear capitano un sacco di cose belle anche quando gli uomini non piangono o quando degli uomini non si vede nemmeno l’ombra. Capitano ad esempio quando gli sceneggiatori dedicano un intero episodio dell’ultima stagione (il quarto) al personaggio di Sydney che va dalla cugina per farsi sistemare i capelli. Che ti vien da dire: che senso ha, che aggiunge al racconto? Capitano anche quando, nel settimo episodio, una bambina cerca di superare la paura di ballare con il proprio patrigno e per farlo trascina tutti i protagonisti della serie TV sotto a un tavolo, dove ognuno di loro esterna le proprie paure. È un momento tenerissimo, ma ti vien da dire, anche qui: che senso ha, che aggiunge al racconto? Capitano anche e soprattutto quando gli uomini piangono o raccontano i propri sentimenti.

La bellezza di The Bear, immutata dalla prima stagione a oggi, è tutta qui: racconta le sottili dinamiche umane inserendole in una confezione che ricorda un reality culinario. Riuscirà il ristorante The Bear a sopravvivere? Non importa: è un pretesto (è il pretesto di questa nuova stagione) per raccontare le vite dei personaggi che gli si muovono intorno. Vite raccontate con la sensibilità di chi non ha paura di affondare le mani nel torbido dei rapporti umani. Un plauso a chi l’ha scritta questa serie, quindi. Ma un plauso anche agli attori e alle attrici che prestano i propri volti ai vari personaggi; perché non si può non rimanere ogni volta esterrefatti dalla bravura travolgente di Jamie Lee Curtis, così vera pur con uno screen time limitatissimo. 

Dicevamo degli uomini, però. Ce ne sono tanti in questa serie: da Carmy a Marcus, fino a Richie. Uomini pieni di demoni e di incongruenze con cui fanno dolorosamente i conti. Il loro cammino, di cui siamo testimoni, comincia quando mettono da parte pentole e padelle e provano ad accettare se stessi, con tutti i loro demoni e tutte le loro incongruenze. Che ti vien da dire: che senso ha, che aggiunge al racconto? Niente. Non aggiunge niente, perché questo è il racconto. Questo è, in fondo, ciò che The Bear ci racconta da quattro stagioni a questa parte. Non è un reality culinario, ma lo specchio di vite incasinate e piene di baccano. Le nostre vite.

Cultura
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

martedì 7 Ottobre 2025