Elisa (2025): il ritorno di Leonardo di Costanzo tra memoria, colpa e redenzione
C’è un momento, nel cinema di Leonardo Di Costanzo, in cui la realtà smette di essere cronaca e diventa introspezione. Elisa (2025), in concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia, nasce proprio lì: nello spazio sospeso tra colpa e comprensione, dove la macchina da presa osserva senza giudicare e lascia che siano i silenzi a raccontare. Elisa ha trentacinque anni e da dieci vive dietro le mura di un carcere. Ha ucciso la sorella maggiore, bruciandone il corpo, ma dice di non ricordare nulla. Da questa frattura senza spiegazione parte un viaggio nel buio della coscienza. Quando un criminologo, il professor Alaoui, la coinvolge in un progetto di ricerca, la memoria si fa campo di battaglia: flash, omissioni, dettagli che emergono come frammenti di un sogno disturbato.
Di Costanzo non costruisce un thriller, ma un film di quiete e tensione, dove ogni inquadratura sembra trattenere il respiro. Il carcere non è una prigione fisica: è una stanza mentale, un luogo di costrizione e rivelazione. Le sue pareti chiare, la luce lattiginosa di Luca Bigazzi e l’uso calibrato dei vuoti scenici raccontano più di mille parole. Ispirato alla vera storia di Stefania Albertani, narrata nel saggio Io volevo ucciderla di Lorenzo Natali e Adolfo Ceretti, Elisa interroga il mistero del male “senza motivo”, quello che si annida nella normalità e la incrina.
Barbara Ronchi offre un’interpretazione di struggente precisione: ogni gesto è trattenuto, ogni sguardo sembra chiedere perdono a sé stessa più che agli altri. Accanto a lei, Roschdy Zem incarna la razionalità del dubbio, la pazienza di chi ascolta. Prodotto da Tempesta Film con Rai Cinema, Elisa conferma la poetica del regista napoletano: un cinema dell’attesa, fatto di respiri, di silenzi, di piccoli moti interiori che diventano racconto.
Un’estetica della misura che non cerca il dramma, ma la verità che si nasconde nell’invisibile. Nel suo sguardo, anche l’errore più irrimediabile trova un’eco di umanità. Come in Ariaferma (2021), anche qui il tempo è dilatato, quasi sospeso. Ogni gesto diventa un rito, ogni pausa un varco nel non detto.
L’assenza di musica amplifica il rumore dei pensieri, e il linguaggio filmico si riduce all’essenziale: pochi dialoghi, luce naturale, una fotografia che sembra scolpire la solitudine. Il regista non cerca la commozione, ma la comprensione. In questo senso, Elisa è un film morale, ma mai moralista: chiede allo spettatore di abitare il dubbio, di restare accanto al dolore invece di giudicarlo.
Di Costanzo sembra dirci che la redenzione non è un punto d’arrivo, ma un movimento impercettibile, una crepa attraverso cui filtra la luce. In un panorama cinematografico spesso gridato, Elisa si distingue per il coraggio del silenzio. È un film che parla piano ma resta a lungo, come una domanda che non smette di risuonare: cosa succede quando il male non ha più spiegazioni e resta solo la fatica di capire? Nel mondo di Di Costanzo, la verità non si mostra: si intuisce. E forse è proprio in quell’ombra che si nasconde, fragile e luminosa, la nostra parte più umana.
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sabato 22 Novembre 2025