Anna Karenina e gli ingredienti per un adattamento riuscito
«Come raccontare a teatro una delle storie più belle del mondo? Abbiamo cercato di rispondere a questa domanda in vari modi”, così il regista Luca De Fusco esordisce per spiegare lo spettacolo Anna Karenina, tratto dall’omonima opera letteraria di Lev Tolstoj, e prodotto da Teatro Stabile di Catania, Teatro Biondo di Palermo.
Inizialmente pubblicato a puntate, tra il 1875 e il 1877, il romanzo racconta un intreccio di vicende che ruotano intorno al concetto di amore: il triangolo passionale e destinato alla tragedia tra la protagonista, il marito Karenin e l’amante Vronskij; il matrimonio amaro e adulterino del fratello Oblonskij con Dolly; e infine il sentimento tenero e puro tra Levin e la giovane Kitty.
“Come nel romanzo, tutto inizia e termina con un treno, emblema dell’opera. Naturalmente sta a noi l’arduo compito di tradurre in immagini, suoni e parole uno dei libri che più spesso si trova sul comodino di ognuno di noi”, prosegue De Fusco, anticipando così l’imponente scenografia, che, sullo sfondo, grava silente sin dal principio come monito dell’incombente tragico finale, in cui si prende la scena e diventa la vera ingombrante protagonista della rappresentazione, avanzando minacciosamente verso il pubblico in sala.
A conferire spessore all’adattamento ci pensa poi il cast di grandi interpreti del panorama italiano, a partire da Galatea Ranzi, che entra brillantemente nei panni non facili dell’eroina, donna a tutto tondo in grado di provare la sconfinata gamma delle emozioni umane. Dalla vivacità iniziale con cui si presenta a casa del fratello (Stefano Santospago) per salvarne il matrimonio, passando per il lento ma inesorabile innamoramento per il giovane ufficiale dell’esercito (Giacinto Palmarini) che la assalta con una corte spietata, al senso di colpa per il tradimento del marito (Paolo Serra) e dell’amica Kitty (Mersila Sokoli) che le provoca un senso di divisione lacerante, per giungere infine alla gelosia e all’isolamento da parte di quella società borghese che prima la osanna e poi la condanna e che Tolstoj ci presenta in tutta la sua gretta ipocrisia.
Nonostante la lunghezza estensiva di due ore e mezza, la pièce mantiene l’attenzione scorrendo piacevolmente anche grazie alla sceneggiatura curata dallo stesso regista in collaborazione con il drammaturgo Gianni Garrera: “Abbiamo deciso di non nascondere l’origine letteraria del testo, ma anzi di valorizzarla. Al di là dei dialoghi, le parti più strettamente narrative o i commenti di Tolstoj sono interpretati dagli stessi attori. I pensieri dei personaggi sono invece detti dai personaggi stessi, seguendo la lezione di Ronconi del Pasticciaccio e configurando degli “a parte”, tipici del linguaggio teatrale, come lo stesso coro”. Proprio questo meccanismo meta-teatrale, coadiuvato dalla costruzione di brevi scene che si susseguono a ritmo serrato – con un impianto più cinematografico, caro alla sensibilità di De Fusco -, decreta il successo di questo adattamento che risulta innovativo e allo stesso tempo rispettoso del grande letterato russo.
Foto © Antonio Parrinello
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mercoledì 2 Luglio 2025