Le parole non sono quelle che sembrano
Le parole che utilizziamo dicono tanto di noi, a volte definiscono dei tratti del nostro carattere. È bene conoscere la loro storia.
La lingua italiana ha una grande ricchezza lessicale dovuta anche a parole che provengono da altre lingue e che si sono adattate al nostro lessico. In alcuni casi però si parla di falsi prestiti, falsi amici e addirittura parole nate per sbaglio, scopriamo di cosa si tratta.
- FALSI PRESTITI
Le parole straniere si sono integrate talmente bene nella nostra lingua che ormai le usiamo quotidianamente senza farci caso. In alcuni casi utilizziamo voci straniere perché ritenute più espressive o evocatrici di ambienti culturali e stili di vita più affascinanti o migliori. Questa scelta denota un tratto linguistico un po’ snobistico ma la cosa che fa sorridere è che a volte si utilizzano parole che vengono scambiate per prestiti ma non lo sono affatto. È il caso di “facsimile”, termine apparso per le prime volte in testi inglesi e francesi, quindi scambiato per un prestito ma in realtà la sua origine è dotta. La sua denominazione, infatti si è ottenuta mediante la composizione dell’imperativo del verbo latino facere (fac) e della forma neutra dell’aggettivo similis (simile). Un altro esempio è il termine “espadrillas”. Per chi non le conoscesse sono calzature fatte con tela e suola di corda. Anche se sembra derivare dallo spagnolo, questa parola ha origini francesi, più precisamente provenzali ed è data da una pianta, caratteristica delle regioni mediterranee, nota anche come sparto di Spagna. È qui che nasce l’equivoco ma gli spagnoli continuano a chiamare queste calzature “alpargatas” o “esparteñas”.
- FALSI AMICI
Un fenomeno che riguarda la comunicazione interlinguistica è quello dei falsi amici. Si tratta di parole di due lingue diverse che pur somigliandosi formalmente, hanno significati molto diversi fra loro. Se chiedessimo del burro in Spagna il cameriere potrebbe guardarci storto perché in spagnolo “burro” significa “asino”, dovremmo chiedere della “mantequilla”. Un altro esempio dallo spagnolo è il verbo “salir” che per loro significa “uscire” e può essere facilmente frainteso quando si parla con un italiano. Con la lingua iberica le somiglianze con l’italiano sono talmente tante che è possibile fare un giochino: la parola “asciugamano” in spagnolo diventa “toalla”, ma questo termine richiama la nostra “tovaglia” che si dice “mantel”, “mantello” si dice “capa” che con alcuni accenti si pronuncia con una doppia “p” e ci porta alla parola “cappa” (da cucina, si intende) che in spagnolo si dice “campana”. Con campana si conclude il gioco perché si ha la perfetta corrispondenza tra italiano e spagnolo.
- PAROLE NATE PER SBAGLIO
Ci sono parole la cui storia si è incrociata con fraintendimenti che sono stati fatali. È il caso di “acne” che si deve a un’errata trascrizione da un codice medico del VI secolo d.C., invece della corretta forma greca “akme” (punta, apice). In pieno Umanesimo, la trascrizione del codice greco fu tradotta in latino, conservando la forma errata che venne resa con il latino acnae e, di lì, è giunta fino ai nostri giorni con il significato di “infezione delle ghiandole sebacee”. Anche i lessicografi possono essere responsabili di malintesi che, poi, considerata l’autorevolezza della fonte si consolidano nella tradizione del lessico. Ad esempio, un lessicografo attribuì erroneamente alla parola “panfilo” il significato di “bastimento di piacere e diporto per gli amatori del mare”, e ne raccomandò l’uso in sostituzione dell’anglismo corrente “yacht”. In realtà, nel Medioevo, “panfilo” era la denominazione di una nave militare a remi o a vela. Questo errore influenzò i lessicografi successivi e conseguentemente i dizionari.
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venerdì 26 Dicembre 2025