La panchina di Lorenzo

La zona verde all’inizio di Corso Casale è piena di estranei che condividono da anni lo stesso ambiente senza incontrarsi mai. Potrebbe essere il posto perfetto per raccontarsi la vita, ma aggiungere volti nuovi alla nostra routine è difficile. Prevale la paura dell’ignoto, l’incertezza e le domande nei confronti dell’altro che ci autoinfliggiamo quotidianamente.

Durante una giornata come le altre sto correndo su questa strada di Torino e per riprendere fiato mi appoggio su una panchina che scopro essere di Lorenzo. Perché è e sarà sempre sua, almeno così mi dice quell’uomo stempiato e un po’ grigio ora seduto di fianco a me. Rimango vicino a lui, ad ascoltarlo. Dice di non essere mai partito, di aver viaggiato soltanto grazie alla voce di Jack London. Dice di non essersi mai sposato, di aver conosciuto l’amore osservando le coppie passare da lì. Mi chiede quanti anni ho, gli rispondo venticinque. Mi invita a ragionare sul tempo. Il tempo che non abbiamo, il ladro con cui non basta imparare a convivere.

“Ti accorgi che passa solo quando inizi a guardare indietro e allora capisci che certe cose non torneranno, e che altre non sono mai arrivate”. Mormora con lo sguardo perso tra le foglie mosse dal vento.

Mi racconta dei giorni in cui sedeva lì, sulla stessa panchina, aspettando che qualcosa cambiasse.

“Il cambiamento non arriva mai se non ci credi davvero e io, forse, non ho mai aperto davvero quella porta”. Sorride amaramente e ogni tanto si interrompe e guarda le persone che camminano, corrono o parlano al telefono e mi spiega che hanno tutti fretta, ma nessuno sa dove sta andando.

“Tu lo sai?”. Mi chiede a voce bassa e io resto in silenzio perché non so rispondere.

“Vedi, ragazzo, questa panchina mi ha insegnato più di tanti viaggi e ogni persona che si siede qui porta il suo piccolo complicato mondo. Alcuni restano cinque minuti, altri non parlano affatto. Ma ognuno lascia qualcosa. Tu, per esempio, mi hai portato il futuro”.

Poi mi alzo lentamente e lo ringrazio, non so nemmeno bene per cosa. Mentre mi allontano, sento la sua voce dietro di me, è leggera ma decisa: “Non avere paura del tempo, ragazzo, siamo gli unici che possano dargli un senso. E ricordati che non ce l’ha”.

Così, in un giorno qualunque, su una panchina qualunque, ho incontrato Lorenzo e ho pensato che a volte sia necessario fermarsi. E ascoltare.

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sabato 18 Ottobre 2025