Sulla finale di Champions League 2024-25

Avrei voluto lasciare una ventina di righe bianche su questa pagina. Poi, in fondo all’articolo, scrivere una cosa del tipo: “Questa è stata la partita dell’Inter sabato sera: una pagina vuota”. Ma la testata si chiama UnderTrenta e scrivere un paio di centinaia di caratteri appena non mi è sembrato deontologicamente corretto. Tanto più che, da interista, di cose da scrivere (o, meglio, da sfogare) ne ho parecchie.

Prima di tutto: i fatti. La finale di Champions League tra Paris Saint-Germain e Inter, giocata a Monaco sabato sera, è finita 5 a 0 per la formazione francese. Il punteggio è piuttosto chiaro: non c’è stata partita, se non a senso unico. L’Inter non è scesa in campo, impaurita e contratta, e né giocatori né allenatore hanno saputo porvi un rimedio in corso d’opera. Tanti i demeriti dei nerazzurri, tantissimi i meriti dei parigini: l’approccio alla gara, la fame e la cattiveria agonistica dimostrata fino al 90esimo minuto sono da manuale del calcio. Il tecnico dei francesi Luis Enrique l’ha preparata benissimo, e del resto non fai il triplete due volte in carriera (con il Barcellona nel 2014-15 e con il PSG quest’anno) se non sei un signor allenatore.

Per l’Inter è stata una sconfitta pesantissima. Più che pesante, se ci fosse un altro aggettivo per esprimere il concetto. È stata una sconfitta umiliante, una di quelle che rimangono nella storia del club (e della competizione, dal momento che mai una finale di Champions era finita con un passivo del genere), ma anche nell’animo dei giocatori e dell’allenatore: cicatrici che non si rimargineranno tanto facilmente. La cosa migliore da fare è voltare pagina e ricominciare. Ho provato a immaginare l’umore dei giocatori e di Simone Inzaghi quando si ritroveranno alla Pinetina per il primo allenamento della settimana: un tale coacervo di mestizia, rassegnazione e malinconia che ho dovuto tornare in fretta alla realtà per non abbattermi troppo. 

Quello che voglio dire è che sarà molto difficile dare una scossa all’ambiente, dopo una partita del genere. Era troppo importante – una finale di Champions vale una carriera, a volte – ed è stata giocata troppo male per poter semplicemente voltare pagina e ricominciare. Servirà una scossa esterna. Servirà fare un po’ di pulizia. Un tabula rasa che coinvolgerà inevitabilmente alcuni giocatori (i cui limiti sono stati evidenziati in maniera drammaticamente icastica sabato sera), ma anche forse l’allenatore. Simone Inzaghi ha dato tantissimo all’Inter: trofei, conti risanati e un gioco spesso efficace, bello e a tratti bellissimo. Se negli ultimi quattro anni l’Inter ha giocato due finali di Champions League, ha vinto uno scudetto ed è arrivata due volte seconda, ha vinto una Coppa Italia e tre Supercoppe è in larga misura merito suo. Ma è anche, inevitabilmente, il primo capro espiatorio quando le cose non vanno bene. L’approccio alla gara e la cattiveria agonistica di cui si parlava sopra sono un’impronta dell’allenatore, e quest’anno è stata troppo leggera. 

Le sirene arabe lo stanno tentando da un po’, pare. Forse, per il bene suo e dell’Inter, farebbe bene a cedere al richiamo.

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lunedì 9 Giugno 2025