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Claudio Baglioni e l’arte della ricostruzione

Il futuro è una città che si disegna e si costruisce insieme

Il cantiere simbolo della ricostruzione ideale si è rimesso in moto. Il 18 ottobre, da Bruxelles, ha preso il via ConVoi ReTour, la seconda parte del progetto live di Claudio Baglioni che da febbraio a maggio ha entusiasmato oltre 200 mila persone.

1. Ogni concerto dura più di tre ore e simpaticamente hai avvertito i fan di portarsi dei generi di conforto. Che cosa dobbiamo aspettarci?
È un concerto che si costruisce mano a mano, non a caso la zona scenica è una sorta di cantiere edilizio e l’idea è venuta un po’ pensando proprio al canto, al gioco di parole canto-cantiere, alla costruzione. Cosa dovete aspettarvi? Tanta musica – sul palco ci sono ben13 polistrumentisti – la rivisitazione di molti dei passaggi antologici che riguardano la mia produzione, alcuni brani dell’ultimo lavoro ConVoi e una buona dose di energia. Il concerto, infatti, sta un po’ a metà tra il musical, l’happening, lo spettacolo. È  un qualcosa non solo da ascoltare ma anche da vedere.

2. Nel live l’ausilio del computer sarà ridotto al minimo, i suoni saranno analogici e del tutto simili a quelli degli anni ’70/’80. In questo momento storico la carta vincente potrebbe essere proprio quella di tornare alle origini, all’essenzialità, alla semplicità?
Sicuramente. In un’epoca così confusa non solo dal punto di vista sociale ma anche artistico – non ci sono state più grandi rivoluzioni, specialmente nel campo delle arti popolari – il fatto di riuscire a fare molto a mano e di inventarlo là per là mettendo un po’ più avanti il cuore rispetto alla tecnologia è un concetto entusiasmante perché più ricco di suggestioni ed emozioni. Noi cerchiamo sempre una sorta di equilibrio. In questa avventura, alla quale lavorano una novantina di persone, la tecnologia c’è perché ci serve per far funzionare tutta la macchina teatrale però il fatto di aver riportato la musica al centro di questo nostro villaggio artistico è la cosa più importante.

3. La scaletta di ogni live è composta da una trentina di brani. Amo tutte le mie canzoni, hai dichiarato in una intervista, ma un po’ più quelle sfortunate. Quali sono invece le canzoni, non tue, che preferisci, quelle che in qualche modo ti hanno segnato?
Alcune di queste le ho persino registrate; nel 2006 mi è capitato di fare un doppio album che si chiamava Quelli degli altri tutti qui e lì ho riarrangiato molti dei brani che, quando ancora non scrivevo canzoni, mi emozionavano o che ballavo nelle feste private. Da Io che amo solo te ad Arrivederci, da Il mondo a Senza fine passando per Miniera e Una lacrima sul viso è stata una produzione esaltante. In tutto sono trenta singoli risalenti alla seconda metà degli anni Sessanta, inizio Settanta. Un decennio in cui la musica italiana ha prodotto dei semplici capolavori.

4. Forse non tutti lo sanno ma hai iniziato a esibirti giovanissimo. Nel 1964, appena tredicenne, hai partecipato a un concorso canoro di voci nuove interpretando Ogni volta di Paul Anka. Da allora di anni ne sono passati cinquanta e strada facendo, tanto per rifarsi a uno dei tuoi brani più amati, hai raccolto un successo strepitoso. Che cosa ha fatto si che l’affetto del tuo pubblico non venisse mai meno?
La bontà loro (ride, ndr). Non so, non c’è una formula riconoscibile. Spero che il supporto costante del pubblico e le soddisfazioni che ho avuto derivino anche dal mio modo di lavorare con serietà, con coraggio, come se fosse sempre il primo giorno. Credo che questo sia alla base di tutto, il resto poi è intuizione, è cercare di non scimmiottare nessun altro, tentare di essere coerenti e onesti nel modo di proporre le proprie sensazioni. Poi, sicuramente, ci sono molti casi fortunati. Lo dico un po’ alla fine di ogni concerto, proprio in un verso della canzone Con Voi: è sempre un onore e un privilegio dopo tanti anni essere ancora su un palco e avere tanti che sono ancora lì e altri che si sono aggiunti. Questa strada è ancora una strada facendo, ancora una strada attuale.

5. C’è qualcosa di Claudio Baglioni uomo che il tuo pubblico dopo tanti anni ancora non ha colto, non ha capito a fondo di te?
Io sono nato come musicista e poi sono passato a scrivere le parole delle mie canzoni primo perché non mi convincevano quelle degli altri, poi perché era un’occasione meravigliosa per potersi raccontare. Un desiderio, quest’ultimo, forse di ogni esser umano. I social network, d’altronde, hanno successo proprio per questo perché sono un po’ la vetrina di noi stessi, della nostra personalità, un mezzo per dire che esistiamo al mondo, che abbiamo un’identità. Tornando a me, attraverso le oltre 350 canzoni che ho scritto, le numerose interviste rilasciate, i concerti, credo di aver dato uno specchio piuttosto fedele di come sono, anche nei silenzi. Quindi non saprei che altro c’è da raccontare perché in tutto quello che ho fatto dal punto di vista pubblico c’è molto, c’è un libro da sfogliare.

Cultura
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lunedì 13 Maggio 2024