Si chiede fin da subito perdono ai manzoniani “venticinque lettori” che stanno affrontando queste righe, perché hanno per le mani un articolo veramente abborracciato. Tuttavia, si assicura a lorsignori che, nonostante tutto, gli intenti sono dei migliori.
Infatti, questo articolo vorrebbe unirsi al nobile progetto #paroledasalvare promosso da Zanichelli, per rispolverare e tutelare quei termini che – nel percorso di metamorfosi della lingua – stanno rischiando l’oblio; solo che, a causa delle scarse capacità autoriali di chi scrive, ne uscirà certamente un contributo raffazzonato, goffo… Abborracciato, appunto.
Considerando che di persone sbadate come la sottoscritta, al mondo, ne esistono tante, è incredibile che il verbo abborracciare stia cadendo in disuso. Forse la causa è da individuare nel fatto che in pochi conoscono l’origine di questa espressione. Per colmare la lacuna, è necessario sapere che la “borra” (o, addirittura, la “borraccia”, quando il lavoro è fatto così male che in confronto questo articolo è da Pulitzer) è un insieme di materiali scadenti, usati per le imbottiture o per farne feltro. Non a caso, in latino burra significa lana grezza, riferendosi a quella lana che, in altre parole, è lo scarto della cimatura ed è quindi di scarso pregio.
Insomma, abborracciare è un capolavoro della linguistica e, francamente, è anche soddisfacente pronunciarlo. Visto che ormai, come nota Zanichelli, non siamo in tanti a sfruttarne le potenzialità, è meglio riportare un esempio, così l’uso del termine sarà ancora più chiaro: «Non vedevo un lavoro così abborracciato da quella volta che ho ascoltato la versione di “Qualcuno era comunista” fatta da Ligabue!».
Ora non avete più scuse per abborracciare i vostri discorsi: andate subito a scoprire gli altri articoli della rubrica, e condite le conversazioni a piacere!
venerdì 13 Settembre 2024
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