Un divano consunto, due personaggi e la luce di una televisione perennemente accesa. Questo è quello che ha di fronte lo spettatore; quindi uno spazio semi vuoto, scarno in cui i due protagonisti, madre e figlio, parlano sostanzialmente fra sé e sé, isolati l’uno dall’altra.
La loro esistenza è bloccata e quasi unicamente interiorizzata: nel caso della madre è fatta di passato e tv, nel caso del figlio di relazioni negate, rabbia repressa ed una buona dose di violenza. Ripiegati su se stessi hanno fame di vita, d’amore, ma non vengono considerati perché, comunque, non sono nella norma.
Lo spettacolo di Cordella, che nasce da due testi di Massimo Sgorbani, per usare una formula classica è un atto d’accusa nei confronti della società contemporanea, in cui i mass media, per fini consumistici, hanno creato standard precisi a cui è necessario attenersi. Chi non vi riesce è isolato, relegato in un guscio da cui osservare il mondo attraverso l’oblò televisivo.
Dello spettacolo funziona assai bene il linguaggio crudo, a tratti feroce, la scenografia scarna, ma soprattutto i due attori (Cinzia Spanò e Francesco Errico), che danno prova di grande talento. Meno convincente, a mio parere, l’intreccio fra i due protagonisti, che di fatto non interagiscono, e quello che definirei un eccessivo catastrofismo. La spirale negativa, che avvolge in particolare il figlio, è talmente ricca di eccessi violenti ed orrore da fare credere che l’esclusione sociale possa riguardare solo soggetti borderline, deviati, mentre, ahimè, può riguardare ciascuno di noi.
Twitter:
domenica 8 Dicembre 2024