“Finalmente all’alba il bambino è nato. Esso è vitale e di costituzione robusta. È l’unità europea – la vedremo crescere, svilupparsi. (…) I nostri figli ci benediranno per gli sforzi compiuti”.
Era il 25 luglio 1952. Alcide De Gasperi tornava da Parigi affaticato, ma soddisfatto. Quello che si era compiuto in quel lungo incontro tra i leader di Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo era un po’ un miracolo. Era nata la Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Il progetto messo in moto dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman con la celebre dichiarazione, di cui oggi ricorre il 70° anniversario, dava il via all’avventura europea.
Certo, da allora molte cose sono cambiate e l’Europa che conosciamo è profondamente diversa da quella delle origini. Ci si chiede se il bambino che i Padri fondatori sentivano di aver tenuto a battesimo sia cresciuto o sia solamente sopravvissuto. Secondo qualcuno si è trasformato in un despota senza volto, secondo altri sarebbe un po’ come quei figli ribelli, che sembrano voler fare di tutto, fuorché corrispondere alle aspettative dei genitori… Di certo, non è facile farsi strada nella selva di slogan strumentali e ottimismi preconcetti che caratterizza oggi il discorso pubblico sull’Europa, né percepire con chiarezza cosa quel progetto significhi per ciascuno di noi.
Anche un giorno simbolico come questo spesso si risolve in una fuga nel passato, tra retorica europeista e celebrazione dei Padri fondatori. Nei momenti difficili, pensare ad un tempo, magari più immaginato che conosciuto, in cui tutto era migliore è sempre una grande tentazione. Eppure, se anziché accontentarci di tributare loro i nostri sterili nostalgismi ci fermassimo ad ascoltarli, forse i Padri fondatori qualcosa da insegnarci l’avrebbero. Nella loro vita, nelle loro scelte, potremmo riscoprire quel senso della storia e, quindi, anche del futuro, che da tempo abbiamo smarrito. Noi, così concentrati sul presente, l’unica dimensione del tempo che possiamo illuderci di dominare, ci accorgeremmo che i Padri fondatori stavano mettendo infinite energie al servizio di un progetto che non avrebbero mai potuto controllare, né tantomeno piegare ai propri interessi contingenti. La biografia di De Gasperi ne è impietosa riprova: un anno dopo aver pronunciato le frasi da cui siamo partiti la sua parabola politica di colpo declinava e, un anno più tardi ancora, egli moriva nella sua casa di Sella. Con il rammarico di non aver assistito che ai primi incerti passi di quel bambino che aveva visto nascere, ma anche con la serenità di aver fatto la sua parte: ora sarebbe toccato ad altri.
Lavorare per chi verrà dopo: oggi qualcosa del genere ci viene chiesto dall’emergenza ambientale, ma anche lì, fatichiamo ad animarci se non intravediamo risultati immediati. La lezione dei Padri fondatori ci dice invece che le grandi imprese chiedono tempi lunghi: più lunghi di quelli di una sola vita. La loro è la lezione delle antiche cattedrali delle nostre città. Nei loro cantieri si alternarono generazioni di architetti, muratori, scalpellini e carpentieri… maestranze diverse si cimentavano in progetti che duravano secoli e che incessantemente cambiavano e si arricchivano di nuovi apporti. A volte, di veri e propri colpi di genio. Chi posava la prima pietra non avrebbe mai visto il lavoro compiuto. Eppure faceva la sua parte, lasciando che poi altri mescolassero i propri meriti e la propria fatica alle sue. Chi crede nel futuro, lavora così. E così dovrà lavorare anche oggi chi ancora crede nel sogno dei Padri fondatori, riannodando i fili più vitali del passato con il meglio del presente.
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lunedì 11 Novembre 2024