Tradotto con “Speranza”, Hatikvah è un poemetto cantato ebraico di nove strofe. Scritto nel 1877 da Naftali Herz Imber, ebreo galiziano ed esponente del movimento proto-sionista Hovevei Zion (lett. “Amanti di Sion”), fu pubblicato con il nome di “Tikvatenu” (“La nostra Speranza”) nel 1886 e successivamente messo in musica Shmuel Cohen, ebreo moldavo. Fu ufficialmente adottata come inno del Congresso Ebraico nel 1933.
Nel 1882, Imber emigrò in Palestina, all’epoca sotto dominio ottomano, e in breve tempo Hatikvah divenne noto a diverse comunità di immigrati ebrei dall’Europa. Qualche anno dopo, nella colonia di Rishon LeZion, Imber conoscerà proprio Shmuel Cohen, all’epoca solo un ragazzo. E’ probabile che la melodia a cui Cohen pensò di accompagnare il poemetto facilitò un’ulteriore diffusione di “Tikvatenu” tra le comunità ebraiche palestinesi. Nel 1886, infine, fu adottata come inno di Hovevei Zion.
La melodia conosciuta da Cohen deriverebbe da una canzone italiana del XVI sec., “La Mantovana”, scritta e composta da Giuseppe Cenci. La musica ebbe un enorme successo in tutta Europa, dato che possiamo trovare canzoni con una melodia simile in vari Paesi dell’Est: “Pod Krakowem” (Polonia); “Mà Vlast” (Boemia); “Cucuruz cu Frunza-n Sus” (Romania). Quest’ultima versione, probabilmente, influenzò la messa in musica di Hatikvah da parte di Shmuel Cohen, anche se qualcuno ritiene che fu la canzone rumena “Carul cu boi” (lett. “Carro di buoi”) ad influenzarne la melodia.
Il tema centrale è il bimillenario desiderio degli ebrei di ritornare in Eretz Yisrael, possedere una propria patria e di costituirsi come nazione indipendente. Il testo, però, è stato spesso oggetto di aspre critiche da alcuni gruppi ortodossi – i haredim: questi, che non accettano la possibilità per gli ebrei di possedere uno Stato proprio, criticano l’assenza di qualsiasi richiamo nel testo a Dio e alla Torah. Naftali Herz Imber, infatti, era laico.
Pertanto, diversi gruppi religiosi ebraici prima e israeliani poi hanno proposto versioni alternative di Hatikvah: verso fine Ottocento, il rabbino Abraham Isaac Kook propose una versione alternativa intitolata “HaEmunah” (lett. “La Fede”), mentre Dovid Lishitz suggerì di modificare la penultima strofa (“Lihyot ‘am chofshi be’artzenu”; lett. “per essere una nazione libera nella nostra terra”), con un testo alternativo (“Lihyot ‘am dati”; lett. “per essere una nazione religiosa”). Entrambe le proposte non furono mai accettate.
Hatikvah divenne famosa tra le varie comunità ebraiche e con la nascita del Movimento Sionista, di cui divenne de facto l’inno nel 1903 – pare che fu cantato durante il VI Congresso Sionista da coloro che si opposero alla possibilità di creare uno Stato ebraico in Uganda. Il poemetto, oltre che tra le comunità ebraiche palestinesi, si diffuse soprattutto tra quelle dell’Europa centrale e orientale, in particolar modo successivamente alla Grande Guerra: dopo la Seconda Guerra Mondiale, un militare delle “Sonderkommando” sostenne di averla sentita cantare ad Auschwitz da un gruppo di ebrei cechi diretti alle camere a gas.
Infine, nel 1948, Hatikvah venne adottata come inno del neonato Stato d’Israele – la prima strofa e il ritornello. Negli anni successivi, però, questo creò – e crea tuttora – diversi problemi agli arabi con cittadinanza israeliana, dati gli ovvi richiami al sionismo e a un’identità nazionale e religiosa diversa: la seconda strofa, infatti, parla di “Nefesh Yehudi” (lett. “anima/spirito ebraica/o”) e pertanto molti membri arabi della Knesset, ritenendo Hatikvah un inno esclusivamente ebraico, rifiutano di cantarlo.
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domenica 8 Settembre 2024